Milla Jovovich e Sam Worthington sono marginali in un thriller post-apocalittico che parte da un’idea potente ma si perde in superficialità
Breathe – Fino all’ultimo respiro, diretto da Stefon Bristol, si presenta come un thriller post-apocalittico ambientato nel 2039, in una Brooklyn devastata dove l’ossigeno è divenuto la risorsa più preziosa. L’idea di partenza è potente e radicata in una paura concreta: la sopravvivenza in un mondo in cui l’aria stessa diventa veleno. Tuttavia, lo sviluppo narrativo non riesce a valorizzare appieno questo spunto, limitandosi a costruire uno scenario superficiale più che una vera esperienza distopica.
Il nucleo emotivo è la famiglia composta da Maya e dalla figlia Zora, chiuse in un rifugio protetto da un sofisticato sistema di filtraggio. La morte del padre Darius, scienziato e visionario, avrebbe potuto costituire la base di un dramma interiore complesso, ma rimane ridotta a semplice pretesto narrativo. Madre e figlia si muovono come figure archetipiche – la genitrice protettiva e la figlia ribelle – senza trovare una vera profondità psicologica. I conflitti appaiono forzati, con dialoghi spesso didascalici che non riescono a restituire la tensione di un rapporto consumato dall’isolamento e dalla paura.
Le scelte registiche non amplificano il senso di pericolo: l’assedio al rifugio si consuma senza ritmo né suspense, spegnendo l’energia della narrazione.
Sul piano visivo, l’uso costante del filtro arancione appiattisce l’estetica, trasformando gli esterni in un fondale monotono che non restituisce la varietà di un mondo in rovina. L’effetto è quello di una stilizzazione che stanca lo sguardo invece di inquietarlo. Anche le scene d’interno, che dovrebbero trasmettere claustrofobia e intimità, risultano statiche e prive di pathos.
Gli attori, pur dotati di talento, non hanno la possibilità di incidere a causa di una scrittura che li imprigiona in ruoli rigidi. Jennifer Hudson non trova sfumature oltre la durezza del suo personaggio, Quvenzhané Wallis non riesce a dare autenticità ai turbamenti della figlia, Milla Jovovich e Sam Worthington restano figure accessorie, prive della complessità necessaria a incarnare la minaccia o la disperazione.
Il limite maggiore di Breathe è allora la sua incapacità di andare oltre la superficie: non scava nel dolore della perdita, non esplora la paura dell’estinzione, non mette davvero in discussione le dinamiche di fiducia e tradimento in un mondo ostile. La sua durata contenuta lo rende scorrevole, ma al prezzo di una drammaturgia impoverita e di un finale che risolve i conflitti senza lasciare traccia.
In definitiva, Breathe rimane un’opera che soffoca sotto il peso delle proprie ambizioni. Parte da un’idea forte e attuale, ma non riesce a trasformarla in un’esperienza cinematografica intensa.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Breathe – Fino all’ultimo respiro, disponibile dall’1 settembre su Prime Video: