Nel 2009, Sharlto Copley esordiva interpretando un anti-eroe atipico e gretto, col quale non vorremmo mai identificarci, ma che forse non è così lontano da come tutti siamo realmente
Si dice spesso che la fantascienza offra uno specchio per la società, riflettendo sullo schermo le nostre paure latenti e permettendoci di affrontare gli aspetti più oscuri della nostra natura. La maggior parte delle volte, tuttavia, la riflessione del cinema di fantascienza tende ad essere però un po’ morbida: in Avatar di James Cameron, ad esempio, sono i militari al soldo di una mega-corporazione a essere inquadrati come i cattivi, mentre l’ ‘eroe medio’ è quello che fa amicizia con gli alieni e li aiuta a difendere il loro pianeta.
Nel modo in cui viene interpretato da Sam Worthington, il personaggio principale di Avatar offre così un qualche tipo di conforto al resto di noi – certo, alcuni di noi sono crudeli, violenti e materialisti, ma ci sono anche molti bravi esseri umani là fuori come Jake Sully.
In altre parole, District 9 garantisce la tipica situazione di ‘specchio’ offerta della fantascienza, ma si rifiuta fermamente di darci quel tipo di eroe rassicurante e con una bussola morale integerrima che generalmente ci si aspetta da un’opera di genere mainstream.
I parallelismi tra la premessa di District 9 e le crisi dei rifugiati nel mondo reale sono facili da vedere. È ambientato in un universo alternativo in cui una gigantesca astronave ha portato con se un carico di alieni macilenti ed emaciati nella Johannesburg degli anni ’80; la storia poi salta ai giorni nostri, dove gli extraterrestri sono rinchiusi in squallidi ghetti, o ‘Distretti’ appunto.
Girato in uno stile pseudo-documentaristico, District 9 ci presenta quindi Wikus, un subdolo passacarte aziendale il cui compito è quello di liquidare uno di questi quartieri – prigione e incanalare tutti gli alieni presenti verso un altro.
Sharlto Copley, al suo primo ruolo cinematografico, è perfetto come Wikus: come il David Brent di The Office, ama chiaramente l’attenzione riservatagli dalla troupe del documentario mentre li guida all’interno del nono Distretto. Con i suoi capelli leccati e i baffetti, è ignaro degli orrori che sta così infliggendo a quelle creature (o “Gamberoni“, come li chiamano gli umani): abortire in modo violento feti alieni non nati per mantenere inalterato il loro numero complessivo; terrorizzarli nelle loro case improvvisate; attirarli in una nuova baraccopoli con la promessa di cibo per gatti con cui nutrirsi.
I 15 minuti di fama di Wikus passano attraverso un loop quando l’uomo viene esposto a quella che può essere descritta solamente come una bomboletta spray piena di una sostanza appiccicosa da un altro mondo. Tale sostanza agisce sul DNA di Wikus, trasformandolo gradualmente in un ibrido mutante ‘gamberone-umano’ – in altre parole, Wikus diventa proprio la cosa che più detesta. Un film più convenzionale avrebbe potuto usare questo incidente come una sorta di momento in stile ‘strada di Damasco’ per il suo protagonista – il primo passo nel cammino del ‘peccatore’ Wikus verso la salvezza.
La maggior parte di noi vorrebbe credere di avere dentro gentilezza ed empatia innati, ma la verità è che probabilmente siamo molto più simili a Wikus van der Merwe di quanto vorremmo ammettere. Wikus è l’incarnazione fantascientifica di molte aspetti negativi della specie umana. Non è un vero e proprio ‘mostro’, come un dittatore o un genocida, ma piuttosto rappresenta il tipo di becera crudeltà che porta i proprietari delle baraccopoli (aka centri di accoglienza), gli strozzini o i governi a creare “ambienti ostili” per i migranti.
District 9 è stato adattato dal cortometraggio di Neill Blomkamp, Alive In Joberg, in cui il regista aveva abilmente montato insieme riprese reali dei bassifondi e personaggi intervistati con i suoi personali effetti speciali visivi di creature aliene. Entrambe le opere parlano della storia del XX secolo del Sud Africa – in particolare, del District Six, un’area di Cape Town dove circa 60.000 residenti vennero trasferiti con la forza nel corso degli anni ’70. In un senso più generale e universale, tuttavia, il District 9 fornisce un’ampia descrizione del crollo psicologico che porta a una tale incredibile barbarie.
Come apertamente confermato in un’intervista del 2018 da Sharlto Copley, Wikus rappresenta un lato della natura umana che spesso rimane nascosto in bella vista:
Alla fine, Wikus fa la cosa giusta: difende Christopher e suo figlio dalle forze militari e, peraltro, quasi muore nel tentativo. A questo punto, però, Wikus è a malapena umano: sulla ‘scala mobile’ della mutazione, è molto più alieno che uomo. È solo quando Wikus ha perso tutto – il suo status, sua moglie la sua possibilità di partecipare alla società umana – che inizia a sentire un qualche tipo di connessione con Christopher e le specie che ha trattato così crudelmente.
Tutto è in netto contrasto col già citato Jake Sully di Avatar, il cui simile salto all’interno di un corpo alieno ha un effetto più inebriante. Sully è stregato dallo stile di vita semplice e armonioso dei Na’vi e si innamora della figlia del capo.
In District 9, Wikus detesta quello che sta diventando praticamente tutto il tempo e prende attivamente a calci ogni opportunità per riscattarsi, fino all’ultimissimo minuto. Questo è in parte ciò che rende District 9 un film così cupo e violentemente spassoso – e anche decisamente onesto.
Di seguito una scena di District 9: