Michael Pearce dirige un thriller familiare che mescola lutto, droga e omicidi, ma non riesce a gestire la sua ambizione narrativa nonostante un cast di prim’ordine
Echo Valley di Michael Pearce, scritto da Brad Ingelsby e prodotto da Ridley Scott, si inserisce nella lunga tradizione dei drammi familiari travestiti da thriller, ma lo fa in modo diseguale e spesso frustrante.
Con Julianne Moore nei panni di Kate, madre lesbica vedova che vive isolata in una fattoria della Pennsylvania, e Sydney Sweeney in quelli della figlia Claire, tossicodipendente manipolatrice e caotica, il film ambisce a coniugare realismo emotivo e suspense criminale.
Tuttavia, la premessa potente — una madre pronta a tutto, persino a occultare un cadavere, per proteggere la figlia — si perde in una sceneggiatura incapace di trovare un’identità tra il dramma materno alla Mildred Pierce e il noir rurale alla Ozark.
L’opera è affollata di spunti narrativi: la dipendenza, il lutto, l’identità queer, la violenza domestica, la co-dipendenza tossica, il ricatto da parte di un pusher viscido interpretato da Domhnall Gleeson, ma ogni elemento viene lanciato senza approfondimento, come se bastasse evocare un trauma per generare tensione. I momenti migliori sono quelli più ordinari, dove la Moore riesce con miracolosa naturalezza a incarnare la stanchezza, la forza e la disperazione di una madre che non ha più nulla da perdere.
Il vero nodo critico del film è che non sa scegliere quale storia vuole raccontare: inizia come un cupo ritratto del dolore post-lutto con toni lenti e intimi, poi vira bruscamente verso una spirale di crimine con body disposal, estorsione, e un crescendo melodrammatico che sfocia nel ridicolo.
Le citazioni visive di film lacustri come I segreti del lago o Un posto al sole rimangono suggestioni superficiali, e persino la fotografia plumbea di Benjamin Kracun, unita alle musiche di Jed Kurzel, non riesce a dare coesione stilistica. Gli spunti queer e il rapporto sororale tra Kate e l’amica Leslie (Fiona Shaw), potenzialmente innovativi, vengono accantonati per lasciare spazio a un finale convulso, dominato dal confronto tra la Moore e Gleeson in una danza di potere che avrebbe avuto senso solo se la posta in gioco fosse rimasta la salvezza di Claire.
Ma proprio in quel momento, il film dimentica la figlia e sacrifica il nucleo emotivo su cui aveva costruito la tensione iniziale. Viene facile – almeno per chi l’ha vista – il paragone con prodotti televisivi come Nel letto del nemico, e non a torto: nonostante la confezione da prodotto di prestigio AppleTV+, Echo Valley scivola spesso in una scrittura da soap crime in cui ogni twist sembra servire più a giustificare la svolta successiva che ad approfondire i personaggi.
La tesi più interessante — ovvero che il vero orrore non è l’omicidio ma l’amore incondizionato che spinge una madre a sporcarsi le mani per una figlia che la userà e la abbandonerà ancora — resta in superficie.
Il film non ha il coraggio di approfondire questa verità disturbante, e preferisce rifugiarsi nella spettacolarità vuota. Le performance degli attori, soprattutto Julianne Moore e Fiona Shaw, tengono in piedi un impianto narrativo che affonda sotto il peso delle proprie ambizioni inespresse.
Insomma, Echo Valley voleva essere un thriller psicologico sul dolore e sulla maternità queer, ma ha finito per essere una versione patinata e autocompiaciuta di un dramma televisivo anni Novanta, privo di un vero eco emotivo.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Echo Valley, su Apple TV+ dal 13 giugno: