Esclusivo | Intervista a Gigi Cavenago sulle fatiche di Mater Dolorosa e le sue influenze cinematografiche
27/09/2016 news di Alessandro Gamma
Abbiamo incontrato a Milano il giovane disegnatore della scuderia Bonelli, che ci ha raccontato come è nato l'albo dei 30 anni di DD e della sua passione per il cinema (meno per le serie TV)
In occasione del Dylan Dog Day che si è festeggiato il 26 settembre a Milano, abbiamo incontrato Gigi Cavenago, giovane talento di casa Bonelli autore delle impressionanti tavole che compongono l’albo celebrativo Mater Dolorosa, scritto dal curatore editoriale Roberto Recchioni, in uscita proprio questa settimana, a 30 anni esatti dall’arrivo nelle edicole di quell’Alba dei morti viventi firmato Tiziano Sclavi che avrebbe segnato un’intera generazione.
Come nascono Mater Dolorosa e questa nuova collaborazione con Roberto Recchioni?
Sono entrato in Bonelli nel 2008 grazie alla miniserie Cassidy, per la quale ho disegnato un paio di numeri, e questo è stato proprio il mio esordio nella casa editrice. E’ un fumetto ambientato negli anni ’70 e aveva un po’ il sapore da telefilm di quegli anni. Il passaggio importante è stato poi finire a collaborare su Orfani, sempre di Roberto Recchioni e di Emiliano Mammuccari, che però è stato un cambio totale per me, in quanto sono passato da un taglio molto realistico e dai toni un po’ più pacati a qualcosa che invece aveva il sapore del kolossal di fantascienza.
L’idea era quindi di realizzare qualcosa di visivamente spettacolare racchiudendolo però in quel formato, anche se poi è uscita un’edizione deluxe della BAO. Questo Mater Dolorosa è arrivato da lì, perchè nel numero 11 della prima stagione di Orfani c’è questa sequenza molto onirica che Roberto mi ha chiesto di disegnare e colorare personalmente con uno stile un po’ pittorico. Lui conosceva già alcuni miei lavori nei quali avevo provato queste tecniche pittoriche, anche se in realtà si trattava di un digitale che simula il pittorico, e in pratica sono uscite fuori cinque tavole molto particolari, che riprendono dei temi cari a Roberto, come questa figura dell’Albero delle Pene, che rappresenta la sofferenza dell’umanità, e penso che siano quelle tavole ad avergli fatto scattare qualcosa – probabilmente l’idea di un seguito di Mater Morbi l’aveva già covata – decidendo di ricontattarmi.
Prima però ho esordito su Dylan Dog disegnando le copertine del Maxi, una cosa abbastanza insolita, e poi su questo numero, il 361, che all’inizio doveva semplicemente essere un seguito di Mater Morbi, e già era un bel compito perché dovevo seguire la strada tracciata da Massimo Carnevale – che è un disegnatore immenso – e poi sarebbe stato anche uno dei DD che avrebbe inaugurato questo nuovo ciclo. Quindi già c’erano queste ansie, poi il fatto di doverlo colorare tutto io, 94 pagine, e in più si è aggiunto che sarebbe stato un albo celebrativo che avrebbe unito personaggi nuovi e vecchi in una specie di enorme cornucopia di elementi celebrativi… Insomma, è stata una cosa più grande di quanto mi aspettassi all’inizio.
Ora, col fatto che tutte queste novità sono arrivate abbastanza centellinate nel tempo e non tutte assieme ha fatto sì che prima mi abituassi a questo compito e poi a questa seconda mazzata! [ride] Per un anno in pratica ho fatto il disegnatore di clausura… circa 11 mesi… un mese per riprendermi dal lavoro precedente, un mese per capire come organizzare il nuovo lavoro e da lì in poi sono partito, dovendomi giostrare anche con le altre copertine.
All’inizio ero veramente nel panico, ora posso dirlo, perché temevo che non sarei riuscito ad arrivare alla fine. Ero arrivato al punto di pensare di chiedere di far colorare certe scene a qualcun altro e di introdurre certe sequenze in cui ricomparisse qualche altro disegnatore della serie… era un compito davvero enorme. Poi dalla seconda metà, quando ormai avevo piazzato tutte le pedine, è stato invece un lavoro più muscolare per arrivare al termine. Se all’inizio la paura era decisamente creativa, nella seconda parte il problema erano le scadenze e il calendario. Sono il primo a stupirsi del fatto che non sono venute male! Ora da questo numero nasceranno altre cose, ma è presto per parlarne…
Tu da qualche anno ormai disegni in digitale. Come ti prepari per una tavola dopo aver letto una sceneggiatura? E come hai lavorato su Mater Dolorosa?
Si parte dalla lettura della sceneggiatura, poi prendo un A4, lo divido solitamente in otto tavole, poi comincio a fare dei bozzetti molto veloci, che sono più che altro degli appunti visivi su come comporre la tavole, le pose dei personaggi e il tipo di inquadratura che mi è venuta in mente leggendo. Dopodiché realizzo una bozza di massima in digitale e vado a rifinirla. A volte la tavole nascono direttamente a colori.
E’ successo che per Mater Dolorosa ci siano stati diversi modi di procedere. Alcune tavole sono nate appunto da chiazze di colore a cui ho aggiunto sopra il contorno, mentre altre sono nate in modo più tradizionale, da un disegno in bianco e nero che poi ho riempito di colore, colorando dopo anche delle parti del nero. Il metodo in realtà è arrivato mentre disegnavo. Non c’era il tempo per pensarlo prima.
In realtà ci sono stati anche problemi per la resa in stampa sul supporto cartaceo, perchè certi colori che avevo scelto all’inizio, parlando anche con altri coloristi, tra cui Annalisa Leoni, sarebbero diventati smorti oppure troppo scuri. Quindi c’è stato un momento in cui ho dovuto accettare il fatto che l’albo avrebbe avuto dei colori molto accesi. Inizialmente l’avevo pensato molto cupo, molto cinematografico, con una fotografia un po’ desaturata, come in certi film di David Fincher, alla Fight Club, ma poi mi sono reso conto che potevo mettere il nero dove poteva essere nero e tutto il resto dei colori dovevano essere il più squillanti possibili per non rischiare. Avrei potuto anche fare dei tentativi, ma a questo punto ero già passato da Fincher a Mario Bava, che illuminava proprio con certi colori, il verde, il giallo…
I colori di Mater Dolorosa sono purissimi, c’è una dominante, un’onda colorata, e poi c’è il nero netto. Non ci sono grigi… Ho dovuto lavorare su questo nero molto radicale. Ho scoperto poi nel corso dell’anno che qualcosa si sarebbe potuto fare, ma ormai avevo impostato il lavoro in un certo modo e a quel punto ero tranquillo. E’ venuto più pop di quanto mi sarei aspettato quando ho cominciato, però funziona.
Hai citato Bava e Fincher. Quando immagini una tavola che andrai a disegnare, da dove arrivano i tuoi input visivi?
Mi sono accorto che i motivi di certe scelte fatte durante la lavorazione, mi si palesano molto tempo dopo. Devo dire che guardo molto al campo dell’illustrazione, però mi accorgo che molti quando disegnano fumetti cercano di fare cinema, ma non sempre questa cosa riesce. Noi non abbiamo il movimento, non abbiamo il sonoro… però qualcosa si può fare in tal senso, si può ricreare il movimento guidando l’occhio dello spettatore, ma è un rischio, perchè il fumetto ha un linguaggio comune, ma allo stesso tempo anche tutto suo.
Se ci sono state in Mater Dolorosa delle influenze del cinema è qualcosa di cui mi sono accorto molto dopo. La nave di Mater Dolorosa, se fosse stato un albo in bianco e nero l’avrei disegnata molto cupa, ma su indicazione di Roberto doveva essere molto organica, viva, quindi il rosso è il colore più violento che si possa immaginare. Quando la presento da lontano, la raffiguro sempre con delle chiazze di rosso, proprio come fosse sanguinolenta, e questa ispirazione mi è venuta da dentro. Mi sono reso conto dopo che questa idea, emotivamente, è venuta dal cavaliere rosso che si vede in La Leggenda del Re Pescatore, che è uno dei miei film preferiti.
Tutte le sensazioni presenti in quel personaggio, che è nell’incubo di Robin Williams, in qualche modo le ho volute trasferire su una nave, ma proprio perchè era una nave me ne sono accorto solo mesi dopo. Terry Gilliam è un regista pazzesco. Poter anche disegnare cose ambientate nel ‘700, come appunto questo albo di Dylan, mi riporta a certe sue atmosfere. Anche alla nave che si vede nel Barone di Münchausen. Volevo quel tipo di atmosfera. Certe cose magari le ragioni all’inizio quando cerchi l’ispirazione, poi quando sei in moto ti accorgi che sono legate all’istinto e lo capisci in seguito.
Quindi sei un grande fruitore di cinema mi pare di capire. Guardi anche serie TV?
No, serie televisive no. Perché sono rimasto deluso molte volte. Ho seguito delle serie settimana dopo settimana per poi arrivare a dei finali brutti, quando non pessimi. Allora preferisco avventurarmi sui film, che al massimo dopo due ore possono comunque arrivare a un finale altrettanto brutto senza rubarti più di una serata.
Io emotivamente voglio iniziare e finire la storia in quello spazio limitato di tempo. C’è più regia, più sperimentalismo. Gli unici telefilm che non mi hanno deluso sono stati quelli che non potevano avere una conclusione, ovvero Twin Peaks di David Lynch e The Kingdom di Lars von Trier. Sarei andato avanti a vederli all’infinito.
E sei fan di qualche genere in particolare o ti piace variare?
In realtà sto abbandonando il genere. Mi piacciono molto la fantascienza e l’horror, ma a conti fatti, se faccio una lista di tutti quelli che ho visto salta fuori un sacco di robetta. Le pellicole sci-fi e dell’orrore che mi piacciono sono riconosciute come dei gran film da tutti, per cui mi sono accorto che può piacermi tantissimo un film come Predator ma anche Quel che resta del giorno di James Ivory. Se un film è fatto bene, mi piace.
L’importante è che mi lasci qualcosa e che ci sia dietro qualcuno che ha qualcosa da dire. Ad esempio, adoro Antichrist di Von Trier così come The Tree of Life di Terrence Malick, in cui il primo racconta che il mondo è un inferno e la natura è la chiesa di Satana, mentre l’altro ti dice che ogni piccolo gesto che compiamo ogni giorno fa parte di un disegno divino. Però sono fatti bene entrambi e tutti e due hanno dietro un messaggio sentito dall’autore, quindi senza che io debba parteggiare per l’uno o l’altro, per me quello è grande cinema, quindi ben venga, benchè sia incisivo. E poi, forse proprio perchè ne ho a che fare per lavoro, sono anche un po’ stufo della ricercatezza estetica fine a sé stessa.
Chiudiamo sui prossimi progetti…
Non posso proprio dirti niente! [ride]
© Riproduzione riservata