[I diari del Lido: il Cineocchio a Venezia 74] Giorno 8 e 9 – Pane, ammore e libreria
08/09/2017 news di Giovanni Mottola
Il cinema 'intelligente' di Wiseman e Soldini tramortisce i pochi spettatori rimasti alla Mostra. Per fortuna arrivano gli 'imbucati' Manetti a strappare qualche risata.
La Mostra del cinema di Venezia ha una durata ufficiale di dieci giorni, ma dopo una settimana si comincia ad avvertire un clima di sbaraccamento: il pubblico diminuisce, parte della stampa straniera trasmigra al Festival di Toronto, i divi internazionali lasciano la vetrina a cineasti dediti ai film d’autore. Anche il numero di proiezioni si riduce, permettendo a chi si ferma sino all’ultimo di concedersi qualche gita in una Venezia le cui viuzze nascoste risultano talvolta sconosciute non solo ai “foresti”, ma anche ai locali. Zonzando per queste calli, nel quartiere Santa Maria Formosa, è possibile imbattersi in un luogo magico come la Libreria Acqua Alta, capace di affascinare tanto i turisti, per il suo aspetto folcloristico, quanto i bibliofili, perché contiene curiosità fuori catalogo e il tipico disordine in cui si ritrova chi i libri li ama veramente. All’ingresso, una scala costruita con i tomi di vecchie enciclopedie, saldate in sicurezza; al centro, una gondola di enormi dimensioni che fa da contenitore per i testi sulla lingua e le tradizioni veneziane. Sugli scaffali, libri antichi e nuovi suddivisi per argomento, anche se può capitare di trovarne alcuni fuori posto. Il nome deriva dal suo affaccio diretto sulla laguna che provoca talvolta l’invasione dell’acqua nel tratto iniziale del negozio. I proprietari sono una famiglia di Vicenza che, a dispetto del famoso detto, i gatti non li magnano, ma anzi ne accudiscono cinque, lasciandoli scorrazzare e dormire tra gli scaffali.
La scoperta di questo luogo a base di libri tanto poetico e fuori dal tempo non ha fatto che accrescere le aspettative per il documentario Ex libris – The New York Public Library, con il quale il maestro del genere Frederick Wiseman si è proposto di raccontare la più famosa e fornita Biblioteca americana. Più è grande l’attesa e maggiore è la delusione quando il risultato non corrisponde a quello sperato e, sia detto senza offesa per il maestro, questo documentario è un disastro: Wiseman trascura il libro come oggetto fisico e non dà spazio alla varia umanità che frequenta i saloni della Biblioteca. Il suo lavoro si riduce (per modo di dire, dato che dura tre ore e un quarto) a estenuanti riprese delle riunioni dei consigli di amministrazione e dell’attività quotidiana delle segreterie oltre alla riproposizione di dotte conferenze tenutesi all’interno della biblioteca. Questa scelta permetterà anche di mostrare allo spettatore un quadro di quale sia lo stato delle istituzioni culturali americane, ma è totalmente priva di cuore nel racconto di un mondo il cui fascino non era così difficile da far emergere, come la famiglia vicentina insegna. A causa della durata chilometrica del film si sono presentate poche persone ad assistervi e ci eravamo ripromessi di controllare quante di esse si sarebbero trattenute in sala sino alla fine. Purtroppo non ci è stato possibile effettuare questa statistica perché siamo rientrati anche noi nella categoria dei fuggiaschi.
Passando da un estremo all’altro, è stata invece una piacevolissima sorpresa il film italiano Ammore e malavita, diretto dai Manetti Bros. Nel Concorso principale di Venezia i fratelli rientrano alla stregua di un imbucato alla festa, cioè di colui che non dovrebbe esserci ma una volta che riesce ad entrare si diverte e diverte più di tutti. Essi stessi ne sono consapevoli, dal momento che hanno detto di sentirsi come se la Sanbenedettese giocasse una partita di calcio contro il Real Madrid al Santiago Bernabeu. Il boss della camorra Vincenzo Scozzalone (Carlo Buccirosso), su proposta dell’intrigante moglie Maria (Claudia Gerini), sfrutta la somiglianza con uno scarparo prontamente fatto fuori e si finge morto per godersi le ricchezze messe da parte negli anni. Ma l’infermiera Fatima (Serena Rossi) scopre involontariamente tutto e il sicario Ciro (Giampaolo Morelli), incaricato di ucciderla, si accorge che si tratta della sua storica fidanzatina e non se la sente. Un film a metà strada tra musical e commedia, che funziona perché possiede irriverenza in dosi tanto massicce da prendere in giro tutto. I Manetti si divertono infatti a fare la parodia delle serie televisive sulla mafia, dei film americani e della tradizione meridionale sino al punto da chiudere il film con una canzoncina (“Non è Napoli”) uguale e contraria a uno storico successo di Pino Daniele. Quanto è cambiata Napoli da quando si rideva con Totò e si cantava con Roberto Murolo; eppure i Manetti, anche con un’opera di stile totalmente diverso da quello classico e di grana piuttosto grossa, riescono ad ottenere i medesimi risultati. Oltre che a loro, l’applauso va anche agli spiritosi e bravi attori, tra i quali spicca, in virtù di grazia e notevoli dote canore, la giovane Serena Rossi. Persino la stampa straniera, pur conoscendo solo a grandi linee il contesto parodiato (alla luce dei successi ottenuti anche all’estero da una serie come Gomorra), ha elogiato il lavoro dei Manetti. E c’è da giurare che dello spirito del film abbiano capito sì e no il cinquanta per cento, perché questo Ammore e malavita è intriso di caratterizzazioni molto locali, addirittura regionali, e dunque non del tutto comprensibile a chi non conosce l’Italia nelle sue più sottili sfumature. Pur durando mezz’ora di troppo (due ore e un quarto stufano un po’), si tratta quindi della migliore opera italiana vista in concorso negli ultimi due anni, perché priva di conformismo e della volontà di offrire la solita lezioncina moralistica.
Difetti di cui soffre in parte Il colore nascosto delle cose (Emma) di Silvio Soldini, in cui si racconta del pubblicitario Matteo (Adriano Giannini) che conosce per caso l’osteopata cieca Emma (Valeria Golino) e se ne innamora nonostante una solida relazione con la fidanzata Greta. Il film è affossato da una sceneggiatura banalissima, che fa accadere tutto ciò che si può pensare che accada e i troppi stereotipi affossano l’intento di approfondire il mondo dei disabili e di raccontare il loro modo di vivere i sentimenti. L’unica trovatina originale del copione si trova nell’ultima scena, quando il film si è ormai già esaurito e non basta a salvarlo l’ottima interpretazione della Golino (che da un po’ di tempo è una garanzia). Fa specie pensare che a firmare questo filmino sia un regista come Soldini, che non moltissimi anni fa aveva spiazzato tutti con una commedia riuscita e originalissima come Pane e Tulipani. Col passare del tempo il primo è diventato raffermo e i secondi sono sfioriti.
A domani.
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