I tre migliori film di Todd Haynes
08/01/2016 news di Redazione Il Cineocchio
In occasione dell’uscita in sala del suo ultimo lavoro, Carol, la nostra redazione ha votato i 3 migliori film dell'anticonformista regista californiano
Nato ad Encino in California, Todd Haynes è figlio di Sherry Lynne Semler e Allen E. Haynes. Laureatosi in semiotica alla Brown University nel 1987, esordisce dietro alla macchina da presa con il cortometraggio Superstar: The Karen Carpenter Story, in cui reinventa la vita della cantante utilizzando delle Barbie al posto degli interpreti umani.
Dichiaratamente gay, il regista ha affrontato più volte la questione dell’identità sessuale nella sua carriera; ne è un esempio il suo primo lungometraggio, Poison (1991), ritenuto opera simbolo della nuova cinematografi gay e accusato dall’American Family Association e dal suo presidente Donald Wildmon di essere immorale, cosa che gli ha conferito una notevole -nonché indesiderata- visibilità. Sempre mantenendo costante l’interesse per le dinamiche interiori, ammantate di una buona dose di inquietudine, il suo secondo film, Safe (1995), che vede protagonista Julianne Moore, viene premiato al Sundance Film Festival e selezionato per la Quinzaine des Réalisateurs a Cannes nello stesso anno. Nel 1998 realizza un’altra controversa pellicola, sempre incentrata sulle questioni di genere: Velvet Goldmine, ispirato al Glam Rock, che gli frutta il Premio Speciale della Giuria a Cannes e una candidatura all’Oscar per i Migliori Costumi. Dopo una pausa di 4 anni, nel 2002, Haynes torna a dirigere Julianne Moore in Lontano dal paradiso, presentato a Venezia e ancora una volta focalizzato sui drammi individuali. Nel 2007 si dedica nuovamente alla musica, lavorando al biopic su Bob Dylan Io non sono qui, in cui sei attori – tra uomini e donne- si alternano per interpretare diverse fasi della vita del cantautore.
Dopo aver diretto e co-sceneggiato la miniserie televisiva Mildred Pierce (2011), il cineasta è tornato quast’anno sul grande schermo con un’altra opera problematica, Carol, presentata alla 68ª edizione del Festival di Cannes, una storia d’amore amore saffico nella New York degli anni ’50, che vede protagoniste Cate Blanchett e Rooney Mara. Con la sua uscita nelle nostre sale in questi giorni e calorosamente accolto dalla critica, cogliamo l’occasione per proporvi la nostra top3 dell’intensa filmografia di Haynes:
Cast: Julianne Moore, Xander Berkeley, Dean Norris (119 min)
Carol è inizialmente donna benestante, che conduce un’esistenza agiata in una casa lussuosa nella San Fernando Valley. Un giorno perà inizia all’improvviso a risentire di un misterioso morbo che la porta ad avere una reazione allergica a qualsiasi cosa, con conseguenti derive psicotiche.
Horror indipendente capace di essere decisamente inquietante, mostra la capacità del regista di dirigere gli attori, in particolare il premio Oscar Julianne Moore, che rende bene con la sua interpretazione la vacuità della società che rappresenta. Dominante è un totale pessimismo che si fonde a una ben strutturata atmosfera straniante.
Cast: Ewan McGregor, Jonathan Rhys Meyers, Christian Bale (124 min.)
Un giornalista musicale si trasferisce in Inghilterra per indagare sul passato di Brian Slade, star del Glam Rock deceduta in circostanze tutt’altro che chiare mentre si esibiva in un concerto. Si apre così un lungo flashback, ambientato nella scena musicale degli anni Settanta e sulle vicende amorose del cantante, tra la ex moglie Mandy e il collega Curt Wild, personaggio ispirato a Iggy Pop.
Interessante sotto molteplici punti di vista, pregio principale della pellicola è la riproduzione di quell’aurea glam, spettacolare e irriverente della scena musicale londinese degli anni ’70, i cui protagonisti con il loro abbigliamento eccentrico e la totale libertà nei rapporti tendevano a sfidare le convenzioni borghesi, soprattutto quelle sessuali e di genere.
Cast: Christian Bale, Cate Blanchett, Marcus Carl Franklin, Richard Gere, Heath Ledger (130 min)
Al centro della narrazione c’è l’alternarsi delle vicende di sei personaggi, ciascuno dei quali è rappresentazione di una delle fasi artistiche ed esistenziali di Bob Dylan. Partendo dunque dall’inizio della carriera dell’artista, ciascun attore è protagonista di una specifica stagione musicale del celebre cantautore, dai primi passi nel folk al successo degli anni ’60, dal problematico passaggio al rock fino all’incidente in moto e al suo ritiro dal palcoscenico.
Ancora una volta incentrato sull’universo musicale, le peculiarità stilistiche e contenutistiche di Todd Haynes emergono ancora una volta in questo film. La commistione dei generi -uomini e donne interpretano lo stesso personaggio- per definire aspetti della personalità dell’individuo senza sottostare a rigide categorie, si fonde con un certo surrealismo dell’immagine e insieme con la capacità di delineare la psiche del soggetto e le coordinate sociali a lui circostanti.
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