Categories: Horror & Thriller

Il clown di Kettle Springs: la recensione dello slasher di Eli Craig

Un prodotto che promette una nuovo icona dell'horror ma si perde tra cliché, derive meta e violenza senza identità

Il titolo Il clown di Kettle Springs (Clown in a Cornfield) sembra fatto apposta per evocare suggestioni immediate: un’immagine grottesca e minacciosa in uno degli scenari più inquietanti dell’immaginario rurale. È un titolo accattivante, che funziona come slogan pubblicitario, ma che finisce per rivelare la principale debolezza del film: dopo l’idea iniziale, c’è ben poco da aggiungere.

Come accadeva ad esempio per Snakes on a Plane, la promessa contenuta nelle parole è già il massimo dell’inventiva e, una volta spogliato dell’effetto sorpresa, resta solo un prodotto che si muove faticosamente tra derivazioni e citazioni.

Il regista Eli Craig, già autore della commedia horror Tucker & Dale vs. Evil, sembra convinto di costruire un’opera “meta”, capace di giocare con i cliché del genere slasher. L’assassino mascherato, chiamato Frendo, porta sul volto una versione distorta della mascotte di una vecchia fabbrica di sciroppo di mais, marchio che ha reso celebre la cittadina di Kettle Springs.

È un’idea che vuole essere ironica e autoriflessiva: la maschera richiama Pennywise e Art il Clown, i ragazzi del paese realizzano video su YouTube fingendo finti attacchi, e il vero assassino appare come un’invasione della realtà da parte della finzione. Ma la consapevolezza dichiarata non diventa mai autentica rilettura: anzi, sottolineare di continuo la propria derivazione non rende un film meno derivativo, semmai accentua la sensazione di déjà vu.

Dal punto di vista narrativo, Il clown di Kettle Springs si inserisce nella tradizione dei romanzi young adult da cui è tratto, portando con sé personaggi adolescenti appena abbozzati, pronti più a essere sacrificati in scena che a incarnare un vero dramma. La protagonista Quinn, trasferitasi in città dopo la morte della madre, incarna il modello della “final girl” classica, giovane colta in un percorso di lutto e adattamento.

Attorno a lei ruotano stereotipi scolastici, conflitti generazionali caricaturali e un paesaggio urbano dominato dalla nostalgia per un passato industriale svanito. L’idea di uno scontro simbolico tra adulti moralisti e adolescenti ribelli, centrale nel romanzo di Adam Cesare, si riduce sullo schermo a un gioco meccanico tra sermoni paternalisti e ribellioni da manuale, senza alcuna incisività tematica.

Sul piano registico, Craig si diverte con qualche trovata: l’apertura ambientata negli anni Novanta suggerisce la leggerezza ironica con cui affrontare la vicenda, alcune morti sono orchestrate con gusto grottesco e il ritmo cerca costantemente di non appesantirsi. Tuttavia, l’insieme non riesce mai a trasmettere reale tensione.

Le uccisioni, che dovrebbero costituire l’anima dello slasher, oscillano tra l’imitazione del gore più estremo visto in Terrifier e l’autoironia alla Scream, ma senza né la brutalità disturbante del primo né l’intelligenza decostruttiva del secondo. Alla fine, la violenza rimane decorativa, un rituale da applaudire più che da temere, e raramente colpisce davvero lo spettatore.

Il punto più controverso resta la scelta di moltiplicare i clown: non più un unico assassino da smascherare, ma un piccolo esercito di Frendo che trasforma il mistero in farsa. L’idea, pur cercando di ampliare la mitologia, risulta talmente riduttiva e didascalica da privare il film di ogni ambiguità, rendendolo un cartone animato sanguinolento piuttosto che un incubo. Lo stesso colpo di scena “sociale”, che vorrebbe aggiornare il genere con un accento su dinamiche identitarie e conflitti generazionali, appare inserito troppo tardi e sviluppato in modo confuso, incapace di dare spessore a una trama già fragile.

Il vero problema è che Il clown di Kettle Springs non riesce a definire un’identità propria. Non è abbastanza spaventoso da imporsi come horror puro, non è abbastanza estremo da scandalizzare, non è abbastanza ironico da convincere come parodia. È un film che prende atto del ciclo infinito degli slasher ma non trova il coraggio di romperlo o di reinventarlo. Persino il suo clown, pur dotato di un’estetica immediatamente riconoscibile, non ha la carica perturbante per diventare un’icona duratura. Frendo resta un’ombra sbiadita dei clowns che lo hanno preceduto, condannato a essere citazione più che creatura autonoma.

In definitiva, Il clown di Kettle Springs è l’emblema di un cinema horror che vive di riflessi, che promette la nascita di un nuovo mito ma si arena in un esercizio manieristico. Il pubblico non troverà scandalo, non troverà terrore autentico, ma soltanto l’illusione di rivivere per l’ennesima volta un rito di sangue già consumato altrove con ben altra forza. Un film guardabile, in alcuni momenti persino divertente, ma che si dimentica con la stessa rapidità con cui si smonta un tendone da circo.

Di seguito trovate il trailer internazionale di Il clown di Kettle Springs, disponibile a noleggio sulle principali piattaforme di streaming:

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Published by
Gioia Majuna
Tags: recensione