Il diario da Venezia 80 (2023), episodio 4: malaffari di famiglia
07/09/2023 news di Giovanni Mottola
Muovendosi tra rincari del cibo, il polemico Favino, stupratori e molestie e la recensione del film Enea di Pietro Castellitto
Al Lido stanno infuriando tre polemiche. La prima è pretestuosa, ma per onor di cronaca la riportiamo ugualmente. È quella contro il caro prezzi di alcuni luoghi di ristorazione. Un chiosco sul lungo-laguna chiede 8.50 euro per un tramezzino. I gestori però non ci stanno, sostenendo che si tratta di “tramezzone” e che utilizzano parte di quei soldi per promuovere attività culturali consistenti in conferenze e proiezioni di opere minori. La contestazione è esagerata perché, se un posto è troppo caro, basta non andarci: cercando con un po’ d’impegno, al Lido si può trovare più di un luogo dove mangiare a prezzi onesti e pure bene.
Certo, non si può pretendere di trovare in offerta il famoso “granchio blu”. Da quando è balzato agli onori delle cronache il suo prezzo è schizzato da 4 a 9 euro al chilo, con punte di 11 su qualche mercato. Ciononostante, il lussuoso ristorante della Terrazza Biennale, gestito dallo chef Tino Vettorello, in questi giorni di Mostra ne ha già serviti 560 chili. Il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ha apprezzato così tanto la pietanza da aver addirittura chiesto il bis.
La seconda polemica attiene strettamente all’industria cinematografica. L’ha lanciata Pierfrancesco Favino, ispirandosi alla scelta di Adam Driver per il ruolo del Drake Enzo Ferrari nel film di Michael Mann, contro la tendenza di far interpretare personaggi italiani da attori stranieri. Sembra un discorso fatto alla suocera perché intenda la nuora. È ovvio infatti che le produzioni scelgono chi vogliono, e vogliono chi pensano possa far incassare meglio il loro film. Favino di certo non crede di poter imporre un attore italiano agli americani.
La sua affermazione sembra dunque un’esortazione a potenziare il sistema italiano, fornendogli quei mezzi che permetterebbero di realizzare in casa le nostre storie e di non vedercele scippare dagli stranieri.
Così facendo si otterrebbero due benefici. Il primo è quello di evitare, almeno ai puristi che desiderano vedere i film in lingua originale, effetti ridicoli come l’ascolto di Enzo Ferrari e sua moglie che parlano inglese, lingua a loro probabilmente sconosciuta. Il secondo, quello di evitare che a trattare le nostre storie siano persone che non le possono conoscere a fondo e che dunque le rappresentano in modo fuorviante o platealmente inesatte. Cosa che, purtroppo, riusciamo talvolta a fare anche da soli.
La terza polemica è quella più delicata, ma anche la più frusta. È quella che prende a bersaglio i presunti stupratori, invitati coraggiosamente (in quanto appunto presunti) al Lido dal Direttore Alberto Barbera. Uno è Luc Besson, accusato da cinque donne: finora l’unica causa intentatagli lo ha visto uscire assolto per mancanza di prove. Il secondo è Woody Allen, sbarcato qui a Venezia con il suo Coup de Chance dopo essere stato rifiutato dal Festival di Cannes per le medesime ragioni.
L’accusa a carico di Allen – aver molestato la figlia adottata con l’ex compagna Mia Farrow – non è mai stata dimostrata, nè il regista è mai stato incriminato. Eppure da qualche tempo movimenti fanatici gli appioppano l’epiteto di stupratore e anche l’altra sera, mentre stazionava sul tappeto rosso per la prima del suo film, un gruppetto di femministe ha manifestato contro di lui. Alberto Barbera ha fatto benissimo a invitarli, forte di un principio costituzionale secondo il quale si è innocenti fino a condanna definitiva.
E in questi casi non ve n’è neanche una provvisoria. Oltretutto, sostiene giustamente il Direttore, è molto più sensato concentrarsi sugli stupratori veri. Come (forse) ha fatto l’altro giorno la Polizia del Lido, eseguendo un mandato di arresto internazionale per violenza sessuale. Non era arrivato improvvisamente Roman Polanski, ma l’attore spagnolo Gabriel Guevara, 22 anni, idolo delle ragazzine, figlio del ballerino Miguel Guevara e dell’attrice e modella francese Marlene Mourreau.
Il ragazzo è famoso per aver interpretato il ruolo di Cristian “Cris” Miralles Haro in Skam Spagna, adattamento spagnolo di Skam, e per il ruolo di Nick Leister nell’Original Amazon Colpa Mia (titolo per lui tristemente profetico!) basato sulla serie di romanzi Wattpad di Mercedes Ron.
Gabriel Guevara si trovava al Lido per ricevere il premio Filming Italy Best Movie International Award Young Generation. Tutti hanno subito preso le distanze da lui: gli organizzatori del premio, sospendendoglielo; la Biennale, affermando che la sua presenza non era legata alla Mostra. È la prima volta, comunque, che essa fa da sfondo a un arresto tanto clamoroso. L’accusa nei suoi confronti è quella di violenza sessuale commessa in Francia quando era minorenne.
La mamma sostiene che egli non metta piede in Francia da quando aveva 12 anni, e il suo avvocato che in Spagna è già stato assolto per quello stesso fatto e dunque si tratta di un errore. Si vedrà. Di sicuro non può essere stato Guevara, proprio perché già arrestato, a palpare più volte il sedere a Marco Agostini, Comandante Generale della Polizia Locale di Venezia, nel corso della festa organizzata da Giorgio Armani domenica sul suo yacht per 700 ospiti. Il Vigile lo ha denunciato su Facebook, sostenendo di essersi limitato a lasciare la festa senza fare scenate, per rispetto al contesto e alla divisa che indossa.
E che indossava anche alla festa. Sorge quindi spontanea una domanda: chi può essere così stupido da molestare un signore in divisa da poliziotto? Agostini non ha molti dubbi: “Quasi sicuramente si trattava di un ragazzetto ventenne“. Ha anche aggiunto di aver denunciato la cosa sui social network per esprimere solidarietà alle donne molestate: “Solo ora ho capito veramente cosa provano”. Questa vicenda dovrebbe indurci a riflettere, sotto un’altra ottica, anche sulle contestazioni ai nomi celebri citati in precedenza.
Il comportamento del Comandante, sia detto con il massimo rispetto per l’operato delle Forze dell’Ordine, risulta tanto improprio quanto emblematico. Se le molestie sono un reato grave, come può un rappresentate della legge ignorarle e, tutt’al più, denunciarle su Facebook, come un passante qualsiasi?
Forte del suo ruolo avrebbe dovuto arrestare il colpevole all’istante, in barba all’ospite e al contesto. Se invece una toccata di culo può essere derubricata ad atto goliardico, come risulterebbe dall’atteggiamento di Marco Agostini, allora la si smetta di montare campagne Social e invocare la caccia alle streghe per un nonnulla.
Avendo trattato fin qui solo di polemiche e per nulla di cinema, concludiamo unendo le due cose lanciandone una noi nei confronti del film Enea, presentato ieri in Concorso. Come tutti coloro che smaniano di mostrare la propria intelligenza, forse per timore che non glie la si riconosca, il suo autore Pietro Castellitto pecca di tracotanza. Così facendo, anziché realizzare una satira come aveva creduto, ne diventa egli stesso il soggetto.
Nella prima scena del film il suo personaggio di figlio ribelle di due borghesi romani – che per pura si noia si dedica al traffico di droga – domanda provocatoriamente alla madre (Chiara Noschese): “Noi siamo un clan?”. Entro i titoli di coda la risposta non arriva. Il film ha però una sua conclusione ideale nella vita vera, quando il suo autore compare sul Tappeto Rosso per la prima visione.
Si presenta con il padre Sergio (suo padre anche nella finzione), il fratellino Cesare (suo fratello anche nella finzione) e sua madre Margaret Mazzantini (scrittrice i cui libri vengono portati su schermo dal marito Sergio). Beh, sì: sono un clan. Realtà e finzione non sono infatti separabili: Enea potrebbe essere il ritratto della vera famiglia Castellitto. Stesso milieu, stessa città. Pietro, ovviamente, non spaccia droga. Ma spaccia per film d’autore operine fintamente provocatorie.
Egli esprime, nei dialoghi, nelle ambientazioni e financo nello stile virtuosistico delle riprese, l’intenzione di dare una sferzata alla classe sociale da cui proviene come se da essa non provenisse, o con essa avesse rotto. Quella stessa grazie alla quale può permettersi, a 31 anni, di realizzare film mediocri, ma costosi, e presentarli in Concorso alla Mostra di Venezia.
Ci ricorda quei ragazzi del Sessantotto che contestavano le loro famiglie dal lunedì al giovedì, per poi trascorrere un lungo fine settimana al mare o in montagna con i soldi di quei padri che, al lunedì successivo, avrebbero ripreso a contestare. Unica nota di merito per il volto radioso di Benedetta Porcaroli, confinata in una particina, per la quale confidiamo vi saranno in futuro occasioni migliori.
Di seguito il teaser trailer di Io Capitano:
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