Pierfrancesco Favino incarna magistralmente il primo pentito di Cosa Nostra nel crudo film di mafia diretto dal regista 79enne
La mafia, o meglio la criminalità organizzata, è un tema particolarmente amato da registi e produttori italiani; tuttavia può essere affrontato in modi assai differenti. Esiste una forma romanzata, spettacolarizzata, che narra storie di affiliati come di anti-eroi d’azione, con tanto di intrighi, sparatorie e scontri a fuoco. È una forma d’intrattenimento alla Gomorra, serie TV liberamente ispirata all’omonimo libro di Roberto Saviano (esiste anche il precedente adattamento cinematografico del 2008 diretto da Matteo Garrone), in cui seguiamo le lotte intestine tra diverse famiglie camorristiche.
Assai diverso e più serio invece è il secondo approccio, si potrebbe dire ‘storico’, che si accosta al fenomeno descrivendone gli sviluppi, i personaggi, i momenti più tragici. Di questo secondo gruppo fa indubbiamente parte Il Traditore, ultima fatica di Marco Bellocchio presentata al recente Festival di Cannes, che non mira a una mera operazione commerciale, ma a rivivere un momento centrale della nostra storia recente, quella del primo pentito di mafia Tommaso Buscetta.
La droga, difatti, ha preso a circolare a Palermo e in Sicilia, i profitti sono cresciuti in maniera spropositata e con essi l’avidità. Tommaso Buscetta (Pierfrancesco Favino), detto Don Masino, boss vecchia scuola vede il deteriorarsi della situazione e decide proprio per questo di allontanarsi dalla terra natia, di trasferirsi in Brasile con la nuova moglie e parte della famiglia.
Lascia indietro soli l’ex moglie e i figli maggiori, Benedetto (Gabriele Cicirello) e Antonio (Paride Cicirello), che si rifiutano di seguirlo. Intanto le strade diventano un bagno di sangue, il numero dei cadaveri sale in maniera costante con l’avanzare dei mesi. Scelta stilistica quantomai intelligente, Bellocchio ne segna la sconvolgente crescita a latere, con numeri in sovrimpressione, mentre mostra solo le morti salienti, così da darci l’idea dell’entità complessiva del massacro.
Lontano, Tommaso Buscetta conduce intanto una vita tranquilla oltreoceano, ma questa viene interrotta in modo violento: un manipolo di militari si presenta a casa sua e lo arresta, per poi rimpatriarlo in Italia, con cui vige l’estradizione. Dopo un lungo volo aereo, funestato da inquietanti visioni, l’uomo arriva finalmente a destinazione dove lo attendono (pericolo assai più temibile della giustizia italiana) i Corleonesi per ucciderlo, sorte destinata già a molti degli appartenenti del suo clan. L’ex boss prende quindi una decisione che cambierà la storia: fidarsi del giudice Giovanni Falcone (Fausto Russo Alesi) e collaborare facendo i nomi di molti dei capi di Cosa Nostra, primi tra tutti Riina e Pippo Calò (Fabrizio Ferracane), amico di vecchia data a cui aveva affidato i due figli prima di partire, ma che lo tradisce diventa il suo peggior nemico.
Affresco articolato sulla mafia nella sua ipocrisia e brutalità, Marco Bellocchio non si limita allora a registrare alcuni passaggi salienti della cronaca nazionale, ma ne indaga l’anima oscura, tra reale e surreale. Anzitutto, con poche sapienti pennellate sono tratteggiati in maniera cruda l’ascesa della violenza sotto il dominio di Riina, gli attimi memorabili del maxiprocesso nell’aula-bunker di Palermo iniziato nel febbraio 1986 e la cui sentenza finale, proclamata nel dicembre 1987, inflisse ben 360 condanne e incrinò in maniera irreversibile la criminalità organizzata siciliana, e infine la strage di Capaci nel 1992, in cui persero la vita il giudice Falcone, la moglie Francesca e gli uomini della sua scorta. Immagine scioccante, il regista rende il terribile attentato dall’interno della macchina del giudice che, mentre tranquillo parla con la moglie, viene improvvisamente sbalzato fuori strada da una potente esplosione davanti a lui, a cui segue lo schianto letale.
Difficile è fare giustizia quando si nega fermamente la realtà. A rifinire l’insieme si aggiunge in ultimo una prospettiva fortemente individuale, fatta di ricordi, ossessioni, timori e allucinazioni ad occhi aperti. Si tratta del vissuto di ‘don masino’, personaggio estremamente ambiguo, reso in maniera notevole da Pierfrancesco Favino, che insieme incarna e vive l’essenza stessa di Cosa Nostra.
Gioviale e ironico, si professa rifiutare la nuova crudele via di Totò Riina e arriva a manifestare un sincero apprezzamento per Giovanni Falcone. Sembra che la sua scelta di parlare sia quasi una scelta etica, anche se forzata dall’estradizione. Il suo senso di colpa è tangibile, soprattutto per i figli, lasciati indietro e uccisi. Il rimorso per non essersi preso cura di loro si concreta in vere e proprie apparizioni spettrali. Poi, c’è la paura di essere inseguito: un cantante italiano in un ristorante lo porta ad alzarsi e scappare (e non a torto …).
Cosa Nostra sa aspettare per la sua vendetta, ha la memoria lunga e lui è un informatore. Doppia faccia della medaglia, anche Tommaso Buscetta in verità è uno spietato boss, aspetto strisciante che emerge in alcuni suoi racconti fatti al giudice palermitano e di cui è apoteosi la cinica chiusa a effetto de Il Traditore, tutt’altro che edificante.
Di seguito trovate il trailer ufficiale del film, nelle nostre sale dal 23 maggio: