Uno spettacolo dal sapore antico
Alla presentazione de Il vedovo allegro, in scena al Teatro Manzoni di Milano fino a domenica prossima, a una domanda su quanto conti per lui la misura, in un contesto dove la comicità punta sempre più sul battutismo facile e sullo sberleffo, Carlo Buccirosso risponde con un aneddoto significativo:
“Nella mia commedia c’erano due battute molto riuscite, alle quali il pubblico rideva a crepapelle. Le ho eliminate. Gli attori della compagnia non si capacitavano, mi invitavano a reintrodurle. Invece quelle risate, in quei punti dello spettacolo, stonavano. Impedivano di cogliere appieno la battuta successiva e il senso generale della scena. Quindi, per rispondere alla domanda, la misura per me è tutto”.
Questo stile, Buccirosso non lo limita alla scena. Egli infatti appartiene a quella genia di attori che sul palcoscenico, o davanti alla macchina da presa, fanno i comici e talvolta persino i buffoni, ma nella vita sono dei signori, seri e distinti. Limitandosi ai grandi artisti della sua Napoli, nella vita Totò veniva chiamato “Principe”, Nino Taranto “Commendatore”, così come Peppino, mentre il fratello Eduardo per i suoi attori era il “Direttore”.
Inserire Buccirosso in questo Pantheon sarebbe eccessivo, ma egli merita di essere ritenuto, a buon diritto, l’ultimo tedoforo di quello che Sergio Tofano aveva definito “il teatro all’antica italiano”.
A precisa richiesta, e per la sorpresa del pubblico, rivela che il suo prediletto tra questi ruoli è il primo. E questo nonostante proceda senza un’iniziale visione d’insieme di ciò che si accinge a scrivere. Alla prima scena segue la seconda, poi la terza e così via, fino all’ultima, senza che lui stesso sappia cosa accadrà. Scherzando si potrebbe affermare che un eventuale colpo di scena forse sorprenderebbe lui per primo.
Una volta a venti giorni dal debutto di una nuova commedia gli si ruppe il computer e perse il testo (male: avrebbe dovuto stamparlo!). Si rivolse alla Polizia Postale per riuscire a recuperarlo, ma per l’operazione gli vennero prospettati tempi troppo lunghi. Allora riscrisse tutto daccapo, e la commedia venne migliore. Non è una sconfessione del suo non-metodo di lavoro. Semplicemente, in quella fase, stava già aggiungendosi il contributo del Buccirosso regista, attento ad inserire le ultime migliori in vista delle prove generali. Per esempio, per quanto riguarda il ritmo (“Con un altro regista Il vedovo allegro durerebbe tre ore. Io lo concentro in due e un quarto.”).
Da ultimo arrivano, oltre che il mestiere appreso con l’esperienza, le malizie dell’attore. Quelle di chi sa come suscitare un applauso a scena aperta ma anche esaltare i compagni di scena.
L’arte della commedia, si potrebbe sintetizzare con un titolo eduardiano. Un’arte ormai perduta in un contesto teatrale che oramai nasconde sempre più spesso la propria incultura dietro il velo di supposte (è proprio il caso di dirlo) sperimentazioni o ingolfa i palcoscenici di maître à penser che cercano di vendere il loro ultimo libro mediocre.
Quella di Buccirosso è una commedia tradizionale, con tanti attori in scena, di quelle che fanno tentennare i produttori, come lo stesso capocomico confessa a proposito del suo. Per tutti i membri della compagnia, giovani e meno giovani, ha una parola di elogio. Li cita uno a uno, snocciolandone in breve il curriculum e dando anche l’impressione di conoscerne non soltanto i nomi dei figli, ma persino le loro pagelle scolastiche. Anche noi vogliamo citarli tutti, in rigoroso ordine alfabetico, perché lo meritano: Massimo Andrei, Donatella de Felice, Stefania De Francesco, Davide Marotta, Gino Monteleone, Matteo Tugnoli ed Elvira Zingone.
Molto bella e curata, nella sua semplicità, anche la scenografia, che riproduce la casa del protagonista, l’antiquario Cosimo Cannavacciuolo. Qui, a partire dal portiere e dai suoi due figli, fa salotto l’intero palazzo, come da tradizione napoletana, nel tentativo di aiutare il signor Cosimo a risolvere i suoi problemi. A causa del Covid ha dovuto infatti chiudere il negozio, portandosi a casa tutto il contenuto, e come ulteriore sventura ha da poco perso la moglie. Un vicino gli offre un’occasione per risolvere i suoi problemi economici, ma la proposta manda in crisi Cannavacciuolo.
Di più non si può dire perché Buccirosso non vuole. Questa piccola civetteria, forse per gelosia verso il suo testo, è l’unica cosa che ci lascia un po’ perplessi.
In fondo sappiamo già che Luca Cupiello alla fine muore, eppure continuiamo a riguardare con lo stesso interesse e lo stesso piacere quella commedia. Certo, Il vedovo allegro contiene una piccola venatura di giallo e poi, soprattutto, non è un classico del teatro napoletano. Noi però gli auguriamo di diventarlo. Un po’ perché lo merita, dal momento che è molto divertente. Ma ancor più perché sarebbe un meritato tributo alla carriera, fin troppo sottovaluta, di un Maestro quale si è dimostrato essere, sotto ogni aspetto, Carlo Buccirosso.
Di seguito trovate il trailer di L’Avaro, al Teatro Manzoni di Milano dal 18 febbraio al 2 marzo: