Harrison Ford torna per l'ultima volta sul grande schermo per un'avventura prevedibilmente - ma comunque spiacevolmente - non all'altezza dei fasti della prima trilogia
Forse non è necessario dirlo, ma i film di Indiana Jones sono sempre stati qualcosa di più di un semplice spettacolone hollywoodiano: possedevano – e possiedono ancora – un profondo senso del divertimento, una qualità che manca praticamente del tutto in questo rimandatissimo (e non si sa bene quanto realmente atteso) quinto capitolo.
Indiana Jones e il Quadrante del Destino (Indiana Jones and the Dial of Destiny) è infatti un sequel fiacco che solo a tratti recupera la giocosità dei titoli precedenti, ma il regista James Mangold, che ha preso le redini da Steven Spielberg (rimasto come produttore esecutivo), non riesce mai a regalare l’avventura sfrenata che i fan del franchise – forse – si aspettano ancora dalle quasi 2 ore e mezza di film.
All’età di 80 anni suonati, Harrison Ford continua a ricoprire il ruolo di protagonista con burbera spavalderia, ma sia colpa di scenografie poco ispirate o di personaggi secondari deludenti, Indiana Jones e il Quadrante del Destino assomiglia più che altro a un oggetto di antiquariato che cerca di rimanere rilevante all’interno del mondo dei moderni blockbuster cinematografici.
Dopo una sequenza d’azione iniziale che è un flashback della caduta di Hitler, la storia si sposta nel 1969, quando un Indiana Jones ormai anziano (Ford) si ritira dall’insegnamento, coi giorni di eccitazione e di scorribande a caccia di reperti apparentemente lontanissimi.
Nella sua vita ora c’è ben poco – la sua amata Marion (Karen Allen) sta divorziando da lui – quando la sua figlioccia Helena (Waller-Bridge), che non vede da anni e anche lei aspirante archeologa, lo contatta spiegandogli di voler localizzare il mitico Anticitera, un antico congegno ideato addirittura da Archimede che si credeva potesse calcolare e intercettare le ‘increspature del tempo’.
Tuttavia, la donna non è l’unica a cercare questo misterioso manufatto: un nazista ‘sotto copertura’ di nome Voller (Mikkelsen) lo vuole per scopi – ovviamente – nefasti.
Nei suoi lavori più riusciti, come il remake del 2007 Quel treno per Yuma, James Mangold si è dimostrato un robusto artigiano in grado di maneggiare con sicurezza i generi, ma Indiana Jones e il Quadrante del Destino si rivela troppo ‘composto’ per essere piacevolmente svagante. Sebbene il film del regista newyorkese replichi molte delle situazioni e dei cliché dei precedenti capitoli – e il compositore John Williams contribuisca con una colonna sonora che ne ripropone (senza esagerare) i memorabili temi musicali – manca del loro spirito fanciullesco e spesso ingenuo.
A volte, Indiana Jones e il Quadrante del Destino sembra riconoscere questa mancanza di ‘esuberanza giovanile’, ritraendo Indy ‘rallentato’ dal tempo e dai rimpianti. Ad esempio, nella sequenza di apertura, Harrison Ford viene sottoposto a un sapiente processo di de-invecchiamento, in netto contrasto con l’anziano cittadino che incontriamo nel 1969, che non è altrettanto agile. Ciononostante, il film insiste nel sottoporre il protagonista a scene d’azione tanto spettacolari quanto esagerate, comunque inferiori a quelle della trilogia originale e sabotate dall’incessante CGI.
Come eroe del cinema d’azione, Harrison Ford ha sempre brillato per la sua grezza autenticità, ma quest’opera si priva di quella fisicità e immediatezza, trasformando Indiana Jones in uno scialbo effetto speciale (una scena in particolare, che lo vede a dorso di un cavallo in una metropolitana, è totalmente ridicola, tanto più che questo momento è privo di gioia …).
L’attrice inglese fa quello che sa far meglio, ma la chimica col vecchio archeologo latita, in gran parte perché la sceneggiatura – accreditata a quattro menti, tra cui James Mangold – non sviluppa sostanzialmente il loro rapporto in modo da farci sentire il legame che un tempo condividevano. Al contrario, i personaggi bisticciano in modo poco divertente, prima di trovarsi in una situazione di pericolo tale da far capire loro di tenere l’uno all’altra.
Mads Mikkelsen è inevitabilmente diabolico nel ruolo di Voller, l’ultimo dei nazisti a dar del filo da torcer al nostro eroe, ma purtroppo non è particolarmente memorabile, e peggio fa Antonio Banderas, la cui presenza è quanto meno bizzarra. E la macchina a cui tutti danno la caccia non ha certo il fascino dell’Arca dell’Alleanza o del Santo Graal.
E quando alla fine scopriamo cosa è in grado di fare l’Anticitera, Indiana Jones e il Quadrante del Destino cresce fino a un finale che vuole essere emozionante ma che finisce per essere piuttosto sciocco e, ancora una volta, privo di quel piacere sornione che accompagnava i momenti altrettanto ‘assurdi’ della saga, che splendevano naturalmente fascinosi e memorabili.
Certamente c’è un’innegabile emozione nel vedere Indiana Jones, invecchiato ma sempre ‘formidabile’, ancora una volta sul grande schermo, e soprattutto verso il finale, quando una scena fa aperto riferimento a un glorioso momento de I predatori dell’arca perduta. Ma ogni volta che parte l’indelebile tema musicale di John Williams, non può che risuonare nelle orecchie una eco lontana di ciò che è stato e che inesorabilmente non tornerà mai.
Questo iconico archeologo avventuriero ha passato la sua vita a scavare alla ricerca dei tesori del passato e, purtroppo, Indiana Jones e il Quadrante del Destino fa la stessa cosa, saccheggiando i nostri ricordi collettivi di un franchise un tempo grandioso.
Di seguito – sulle note di Sympathy for the Devil dei Rolling Stoners – trovate il trailer italiano di Indiana Jones e il Quadrante del Destino, nei cinema dal 28 giugno: