Intervista a Davide Melini su Lion, Deep Shock e Penny Dreadful
13/07/2016 news di Alessandro Gamma
Abbiamo fatto due chiacchiere con il regista romano per approfondire la lavorazione dei suoi ultimi cortometraggi e parlare della sua esperienza internazionale
Il nome Davide Melini potrà non suonare famigliare alle orecchie di molti, ma quelli che seguono il panorama dei cortometraggi fanta-horror probabilmente hanno avuto modo di apprezzare alcuni suoi lavori, come The Puzzle (2008) e The sweet hand of the White Rose (2010). Senza contare inoltre che Melini è stato assistant director in alcune serie TV internazionali come Roma e Penny Dreadful e per La terza Madre di Dario Argento.
In occasione dell’annuncio della sua nuova fatica, intitolata Lion, abbiamo fatto due chiacchiere con il regista romano, per approfondirne la lavorazione ma anche per parlare del suo prossimo progetto – il corto Deep Shock -, della sua esperienza sul set di Penny Dredful e dell’essere un giovane regista italiano all’estero.
Ciao Davide e benvenuto. Hai appena finito di girare “Lion”, il tuo nuovo cortometraggio horror. Puoi dirci com’è nato?
Dopo i miei ultimi due cortometraggi di stampo thriller/fantastico (“The Puzzle” e “The Sweet Hand of the White Rose”), sentivo la forte necessità di cambiare realizzando qualcosa che fosse in grado non solo di scuotere la psiche dello spettatore, ma anche di lasciare un profondo segno a livello visivo. Quando scrivo una sceneggiatura, la mia mente deve essere sempre sgombra e non ci dev’essere alcun tipo di restrizione. In questo modo la storia quasi si scrive da sola. Nel caso specifico di “Lion” ho imposto un solo fondamentale punto, quello di isolare totalmente i personaggi. Desideravo ricreare un ambiente il più claustrofobico possibile e così ho eliminato ogni via di fuga: uno chalet isolato, posto nel bel mezzo di un fitto bosco innevato. Optando per questa scelta, l’attenzione dello spettatore si sposterà inesorabilmente sulla sola luce presente, cioè quella della casa. Sapendo fin dall’inizio che sarà impossibile fuggire, lo chalet acquisterà ancora più forza. E una volta chiuso lo spettore in un angolo, e sapendo che non potrà fuggire, gli farò passare davanti agli occhi ogni sorta di orrore… Posso dire che una volta introdotti all’interno della casa, dovrete pregare per uscire.
Come hai scelto il cast e la troupe?
La parte di Jeff l’ho scritta su misura per l’attore Michael Segal che, pur essendo una bellissima persona e completamente differente dal suo personaggio, era semplicemente perfetto per la parte. Non ho preso in considerazione nessun altro! L’impresa più difficile era comunque quella di trovare il bambino che potesse dar vita al personaggio di Leon. Con Carlos Bahos (casting director) abbiamo pensato di organizzare un casting per cercare sia il bambino, sia l’attrice che doveva interpretare Amanda. Pochi giorni dopo, vidi casualmente in un gruppo di cinema su Facebook il post di una madre che sponsorizzava il figlio per eventuali ruoli cinematografici, televisivi e pubblicitari. Le fotografie del bambino rispecchiavano esattamente quello avevo in mente e così lo feci convocare per il casting. E devo dire che il piccolo Pedro Sánchez è stato davvero fantastico! Oltre a lui, riuscimmo anche a chiudere con Tania Mercader, una buonissima attrice di teatro, per il ruolo di Amanda.
Come pensi di promuoverlo?
Anche se “Lion” si trova attualmente in post-produzione e mancano ancora diversi mesi alla sua uscita, la mia intenzione era quella di cominciare a promozionarlo nel mondo il prima possibile. A questo scopo abbiamo infatti realizzato un teaser, la locandina, diverse fotobuste e anche la pagina web ufficiale. Cosí facendo abbiamo reso possibile che la critica internazionale si potesse in qualche modo interessare al cortometraggio, e devo dire che siamo davvero tutti lusingati dai moltissimi articoli che sono usciti nell’ultimo mese. Ora qualche persona sa della sua esistenza e in qualche modo lo sta aspettando e una volta che il corto uscirà, sarà tutto più facile. Io penso che non ci si debba limitare a giudicare un cortometraggio solo in base ai risultati nei festival, ma bisogna anche guardare tutto ciò che gli ruota intorno. Un film deve avere una carta di presentazione ben precisa, dove ogni aspetto risulta importante (festival, articoli, interviste, tributi, passaggi televisivi, ecc.).
Insieme a “Lion” hai girato anche “Deep Shock”, un cortometraggio che vuole in qualche modo resuscitare il famoso ‘Giallo all’italiana’. Puoi dirci qualcosa?
Più che resuscitare, questo cortometraggio nasce con l’idea di un vero e proprio tributo al “Giallo” e in particolare ai due registi che ne hanno consacrato il genere: Mario Bava e Dario Argento. Non a caso già dal titolo si capisce che è un mix tra “Deep Red” di Argento e “Shock” di Bava. Detto questo, però, bisogna aggiungere che “Deep Shock” è anche un film indipendente e autonomo, che viaggia su binari ben precisi. La mia idea era quella di ricreare la magia e la suspense di alcuni film degli anni ’70, usando però le tecnologie di questi ultimi anni. L’uscita di “Deep Shock” è annunciata per il 2017 e rappresenterá il mio ultimo cortometraggio, prima di tentare il passaggio al lungometraggio.
Lavori a prodotti di stampo thriller-horror… Da dove nasce la tua passione per l’orrore e chi ti ha più influenzato?
Come spesso ho detto in passato, sono stato influenzato da tutti e da nessuno. Non c’è un punto di riferimento preciso. Io amo tutto il cinema in generale, dai film antichi ai nuovi e seguo un po’ tutti i generi: dal comico al drammatico, dal western al poliziesco, dall’horror al fantastico… Eppure quando mi viene l’ispirazione, l’idea di partenza è sempre “malvagia”.
I tuoi corti hanno fatto il giro del mondo, vincendo svariati premi e ricevendo ottime recensioni. Attualmente la critica internazionale ti considera uno dei maggiori talenti nel campo dell’horror e solo qualche giorno fa, un sito italiano ti ha definito addirittura “Il nuovo giovane maestro del cinema horror”…
Solo fortuna...
Fortuna? In questi ultimi anni sei stato paragonato a mostri sacri quali Dario Argento, Mario Bava, Alfred Hitchcock, Night Shyamalan, David Fincher, Darren Lynn Bousman, David Linch e Guillermo del Toro…
Era solo una battuta, ovviamente. Sono ben consapevole della realtà, la quale è ben diversa da ciò che molte volte si scrive. E la realtà è che purtroppo sono ancora indietro, molto indietro… non ho neanche diretto un lungometraggio! In ogni campo della vita, appena spunta fuori qualche giovane bravino, ecco che subito si tenta di paragonarlo a qualcuno del passato. Lo so che tutto fa parte del gioco, e apprezzo veramente tutti i complimenti che mi sono stati fatti; però – ripeto – sono consapevole dei miei limiti e ancora devo crescere molto. Magari avessi fatto anche solo il 5% di quello che hanno fatto tutti questi grandi nomi che hai menzionato!
Hai lavorato come assistente alla regia nella famosa serie horror anglo-americana “PennyDreadful”. Com’è stato lavorare in una produzione del genere?
È stata sicuramente una bellissima esperienza. “Penny Dreadful” era una super produzione, con una troupe composta da piú di trecento persone e quasi tutti provenienti da Dublino. Di dodici aiuti registi, solo due erano “stranieri” (per cosí dire): un ragazzo di Barcellona e il sottoscritto. Tutti gli altri, come ho già detto, erano irlandesi. È stato un vero piacere lavorare con Timothy Dalton, Josh Hartnett, Wes Studi e Sarah Greene. Inoltre, girare per tre settimane nel deserto di Almeria e dentro “Fort Bravo” (in Tabernas), che è il più grande studio cinematografico western di tutta Europa, è stato motivo di grandissimo orgoglio per me, in quanto molti “spaghetti-western” vennero girati proprio qui (e parliamo di capolavori quali “Per un pugno di dollari”, “Per qualche dollaro in più”, “Il buono, il brutto e il cattivo”, “C’era una volta il West”, “Lo chiamavano Trinità”, “Continuavano a chiamarlo Trinità”, ecc.). Calpestare quel particolare deserto – sapendo che prima di te ci sono passati Clint Eastwood, Charles Bronson, Claudia Cardinale, Henry Fonda, Brigitte Bardot, Harrison Ford, Sean Connery, Yul Brunner, Bud Spencer, Terence Hill, Gregory Peck, Steve McQueen, Faye Dunaway, … – ti lascia veramente una grandissima emozione.
Stai lavorando molto all’estero: trovi differenze con l’Italia? Pensi sia più facile per un regista giovane trovare spazio lontano dal nostro paese?
Generalmente i problemi sono più o meno sempre gli stessi: se non conosci, non vai da nessuna parte (e a volte neanche quello basta, a causa di tutti i “truffatori” che ci sono). Nessuno è pronto a regalarti niente, men che meno se sei straniero. Però se uno crede in sé stesso e ha fame di emergere, non deve mai gettare la spugna e deve insistere sempre. Alla fine si trova sempre qualcuno disposto ad apprezzare e valorizzare il tuo lavoro.
Vi lasciamo con il promotional teaser di Lion:
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