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Il diario da Venezia 82 (2025), episodio 4: la donna che non visse tre volte

05/09/2025 news di Giovanni Mottola

Kim Novak, 92 anni, Leone d’Oro alla carriera: tra Vertigo, il difficile rapporto con Hollywood e la passione per la pittura, una diva libera e anticonformista

kim novak venezia 2025 sala vuota

Capita sempre più spesso al giornalista di dover spiegare agli altri quel che lui stesso non capisce. Noi, per esempio, frequentiamo questa Mostra da anni e credevamo di conoscere ormai a fondo la fauna umana che vi partecipa. Invece non siamo assolutamente in grado di comprendere il motivo per cui, all’incontro di Kim Novak con il pubblico, avvenuto in una sala di 280 posti, quasi 150 di essi siano rimasti desolatamente vuoti.

Considerato che gli accreditati dovrebbero superare le 13.000 unità e che tra essi si contano giornalisti del settore, gente dello spettacolo, studenti che si occupano di cinema, appassionati di ogni età, ci domandiamo come sia possibile che solo a una persona su cento prese tra queste categorie possa interessare incontrare una diva americana di 92 anni che ha recitato con tutti i più grandi, registi e attori, suggellando la carriera nei doppi panni della protagonista del più celebrato film di Alfred Hitchcock.

La domanda sorge spontanea se si pensa che bisogna invece quasi fare a pugni per trovare uno strapuntino in occasione di proiezioni di film ugandesi o delle isole Far Oer, anche quando vengono proposti in sale da 1500 posti. Peggio per loro, meglio per noi che ci siamo goduti un’interessante chiacchierata con questa deliziosa signora di 92 anni, elegantissima e per nulla sostenuta.

In verità, fino all’annuncio che in questa edizione le sarebbe stato consegnato il Leone d’Oro alla Carriera, pensavamo fosse passata da tempo a miglior vita, forse proprio per colpa di Hitchcock che in Vertigo l’ha fatta morire ben due volte, o forse perché da anni non si sentiva parlare di lei.

In effetti si è ritirata dal cinema nel lontano 1980, limitandosi poi a due comparsate a inizio anni Novanta in film assolutamente marginali. Ascoltandola abbiamo appreso meglio le ragioni di questa scelta. Il suo temperamento non si conciliava con i meccanismi della Settima Arte.

kim novak venezia 2025Anzitutto l’ha sempre infastidita che registi e produttori cercassero di plasmarla per come la volevano, anziché sfruttarla per quello che era: sul punto ha ironizzato circa il fatto che ti scelgano per fare cinema perché vedono in te qualcosa di speciale e di unico, ma poi cercano di farti aderire a un modello preconfezionato che va per la maggiore, nel suo caso quello di Marilyn Monroe.

Poi è sempre stata preda di dubbi e insicurezze, atteggiamento poco compatibile con una convivenza con il divismo al quale inevitabilmente era destinata. Ha confessato, per esempio, che all’epoca in cui recitò ne La donna che visse due volte non sapeva che per quella parte Hitchcock avrebbe voluto Vera Miles (e, con una punta di malizia, potremmo dire anche Grace Kelly, se non avesse abbandonato il cinema due anni prima per diventare la Principessa di Monaco). Lo scoprì solo in seguito, e fu una fortuna, perché altrimenti si sarebbe di sicuro convinta che l’altra sarebbe stata più brava e la sua interpretazione avrebbe finito per risentirne.

Così andò meglio per tutti. Per lei, ovviamente, che ha trovato nel doppio ruolo di Madeleine/Judy l’apice di tutta una carriera, finendone in parte anche imprigionata. Ma anche per il film stesso, perché nessuna avrebbe fatto meglio di lei. Kim Novak afferma infatti di essere bipolare, e crediamo che questa sua caratteristica personale abbia infuso alla parte quella carica di ambiguità e mistero che ha reso immortale Vertigo, facendolo ancora oggi inserire regolarmente in testa alle classifiche delle opere più belle di sempre.

Dopo quella parte recitò ancora in tanti film, in particolare i tre diretti da Richard Quine – col quale pensarono anche di sposarsi ma poi lei si tirò indietro perché all’epoca contraria al matrimonio – e Baciami Stupido di Billy Wilder. Ma non raggiunse più quella vetta toccata con Vertigo. Anche perché, in fondo, del cinema le importava fino a un certo punto, anzi lo viveva come una costrizione.

Non a caso, il film cui è più affezionata, nonostante non abbia avuto successo è Jeanne Eagels, tradotto in italiano in Un solo grande amore. Il fatto che si senta particolarmente rappresentata da una storia che racconta di un’attrice di successo finita in crisi, dipendente dall’alcool e infine morta suicida, fa capire con quanto disagio deve aver vissuto la sua carriera cinematografica. Molto migliore il rapporto con la pittura, sua vera passione, grazie alla quale riusciva e tuttora riesce a pacificare la sua natura.

Davanti a un cavalletto nessuno le dà ordini: solo lì si sente la regista di sé stessa, esaltando quello spirito libero che finiva invece sempre mortificato sul set. Quello stesso spirito libero che la porta a dichiararsi favorevole al movimento #MeToo, ma con riserva. Che le donne conservino, ha affermato infatti, il gusto di piacere e di sedurre. Perciò bisogna stare attenti a non demonizzare chi da queste provocazioni si lascia irretire senza commettere atti di violenza.

L’incontro è terminato non soltanto con un’ovazione, ma con un vero e proprio assalto del pubblico alla ricerca di un autografo. L’anziana diva, a differenza di quanto sono soliti fare tanti attorucoli sussiegosi, ha accontentato tutti.