Netflix mette in cascina una horror comedy indecisa e ben poco ispirata, che nemmeno Samara Weaving riesce a salvare
Mai come negli ultimi tempo, gli anni ’80 vengono dipinti come un periodo magico. Dalla musica all’abbigliamento, per arrivare ai film horror più brutti, ma in fondo non così tanto, tutto viene rivalutato con malinconia. E quest’atmosfera ormai perduta è quella che Netflix prova ancora una volta a catturare con La Babysitter (The Babysitter), ennesimo film originale che prova a mescolare momenti genuinamente sanguinolenti e commedia giovanile.
Intuizioni o trovate anche solo vagamente brillanti lasciano il posto a un umorismo spicciolo e derivativo (i ‘what the fuck’ sparati a caratteri cubitali in sovraimpressione nascono vecchi …), a qualche bacio lesbo per solleticare gli ometti che dovessero mettersi alla visione e a qualche raro effetto speciale che mette in luce il talento di chi si è occupato di realizzarlo.
Appoggiandosi a una delle fantasie maschili più in voga a ogni età, il film è incentrato sul rapporto tra un ragazzino e la sua babysitter, talmente perfetta che sembra essere stata inviata a casa sua direttamente dall’alto dei cieli. Forse. Questo angelo biondo risponde al nome di Bee (Samara Weaving) ed è così adorabile e legata a Cole (Judah Lewis) che né lui né i suoi genitori sembrano curarsi del fatto che Cole sia abbastanza grande per non aver più necessità di una balia da un pezzo.
Il 13enne è puro e innocente e viene bullizzato da tutti nel quartiere, ma gli basta chiacchierare con Bee di Star Trek, Predator o di Ellen Ripley a cena e rubare soltanto un fugace momento al di lei diabolico bikini rosso fuoco quando giocano in piscina per essere contento e dimenticare le angherie. E poiché i suoi genitori sono andati via per tutto il fine settimana, Cole intende catalizzare tutte le attenzioni di Bee, almeno fino al momento in cui dovrà andare a dormire.
Dopo aver pensato che il ragazzino sia sprofondato nel mondo dei sogni, Bee invita però tutti i suoi stereotipatissimi amici per fare festa: c’è la cheerleader svampita Allison (Bella Thorne), il quarterback muscoloso Max (Robbie Amell), il tizio di colore John (Andrew Bachelor), cui spettano urla e overacting a oltranza, la gotica – e asiatica – Sonya (Hana Mae Lee) e Samuel (Doug Haley), un timido nerd che appare un pesce fuor d’acqua, per il quale è stata pianificata una nottata indimenticabile.
Comincia quindi il classico gioco della bottiglia, che presto si trasforma in Bee che pianta alla vittima designata due pugnali nel cranio per dare inizio a un misterioso rituale. Lei e i suoi amichetti hanno deciso di seguire la moda delle sette e così, per fare un patto con il Diavolo, hanno bisogno del sangue di innocenti come Samuel … e come Cole. Quindi, se il ragazzino vorrà superare la notte indenne dovrà stare attento e darsi una svegliata, mettendo in pratica gli insegnamenti appresi su come farcela con le proprie forze nella dura vita quotidiana.
Ad esempio, la semplicissima sceneggiatura di Brian Duffield (Insurgent) si sforza più a spiegare perché il personaggio della Thorne vesta un tipico abito da cheerleader piuttosto che di razionalizzare il motivo per cui Cole ritorni in casa dopo che già era riuscito a fuggire con fatica.
Tutto ok (?) viste le premesse e la dichiarazione di intenti (se mai queste possano essere davvero accettabili per qualcuno …), fatto sta che il risultato è comunque piuttosto fallimentare sia dal lato prettamente orrorifico – troppo ‘finto’ e privo di qualsiasi tensione -, sia da quello ilare, viste le battute anche di pessimo gusto (tipo quella sull’AIDS) e sempre ben poco azzeccate anche quando vogliono ricordarci Scary Movie, che da quello del coming of age action/avventuroso, apprezzabile (forse) soltanto da un pubblico dell’età del giovane protagonista, visto che dovrebbe diventare piuttosto complesso relazionarsi alle imprese di un tredicenne per chiunque altro.
Diverse spanne sopra alle piattissime reazioni di Amell, Thorne e Lee, tutti incredibilmente svogliati. Anche Lewis, da effettivo co-protagonista, non è disprezzabile, spiccando in ogni caso maggiormente nelle scene al fianco della coetanea Emily Alyn Lind (la ragazzina della porta accanto) che in quelle con i colleghi maggiorenni, probabilmente perché in quei casi il tenero umorismo presente non ruota intorno ad aspetti razziali o di genere.
Come accennato, ci sono almeno un paio di gustose “sequenze di morte” che coinvolgono soprattutto teste, ma in fin dei conti vengono un po’ buttate lì nel vuoto e si perdono nel mare dell’indecisione generale di un film intento a provare a essere troppe cose diverse per riuscire almeno ad avvicinarsi anche a uno solo degli (s)cult ai quali guarda con ammirazione.
Di seguito il trailer internazionale di La Babysitter, nel catalogo Netflix dal 13 ottobre: