Il regista di Martyrs torna sulle scene con un horror contorto, scabroso e allucinato, confermando di non aver perso la sua vision unica e conturbante
Il francese Pascal Laugier sa certo osare e ha un approccio unico all’horror, è indubbio, tutti gli estimatori del genere che hanno avuto occasione di vedere il suo Martyrs del 2008 ne sono ben consapevoli. Raffinato e contorto, la sua estetica è spinta, truce e non ha paura di osare, non è uno dei registi del terrore imborghesiti che gira scialbi prodotti commerciali destinati esclusivamente a un pubblico di teeneger, dove si può dire poco e far vedere anche meno, e magari c’è pure una piccola morale educativa sul finale.
Il parco autore transalpino (non si può non parlare di autorialità con lui), confeziona con grande maestria viaggi infernali, allucinazioni visive articolate su più piani temporali e spaziali e il suo ultimo lavoro, La casa delle bambole – Ghostland (Incident in a Ghost Land), presentato in anteprima europea all’ultimo BIFFF di Bruxelles, non fa certo eccezione. Certo anche lui ha avuto le sue cadute di stile, come il non esaltante – e non a caso semi-americano – I bambini di Cold Rock del 2012 -, ma siamo lieti di affermare che è ora tornato agli antichi splendori. Eppure sin dall’apertura in cui viene citato il grande Howard Phillips Lovecraft (che peraltro ad un certo punto si materializza dotato di promine te mascella…) è palese che siamo davanti a qualcosa che ci stupirà.
La famiglia, lungo la strada, si imbatte in un sinistro furgoncino bianco dei gelati (sullo stile di quello di Mr. Mercedes) con tanto di musichetta infantile negli altoparlanti, che sorpassa furiosamente la loro auto e si allontana all’orizzonte. Dopo una breve pausa, le tre giungono infine destinazione, ma nella notte, si accorgono che qualcuno le ha seguite fino a lì: si tratta di una coppia di psicopatici costituita da un uomo travestito da donna e da un energumeno calvo con una palese menomazione psichica, ambedue con una sinistra passione per la tortura e per le bambole …
Certo allusiva è la sequenza in cui, dopo essere stata prelevata e truccata a viva forza, Beth viene collocata in mezzo a un gruppo di bambole, giocattolo vivente per il grosso maniaco, che preleva e inizia a dilettarsi con la sua inanimata vicina. Accarezza e tira una sberla secca al volto di porcellana, per poi andare a ravanare sotto la gonna di stoffa e quindi passare la fiamma ossidrica sulla manina di pezza. Un momento piuttosto scabroso, benché più che altro allusivo. Ma poi ci vengono mostrati dettagli decisamente fisici, con la ragazza che si urina addosso per la paura o in precedenza il momento in cui le viene il ciclo mestruale. Qualcosa che di rado viene rappresentato in un film destinato alle sale e che rimanda per morbosità alle opere di Jack Ketchum.
Scopriamo che il libro precedente era invece intitolato evocativamente Dollhouse, ‘la casa delle bambole’ (il rimosso freudiano emerge da numerosi frammenti lungo lo svolgimento). Tuttavia, di colpo le arriva una telefonata, è Vera che urla disperata, e così Beth decide di tornare alla casa in cui anni prima fu aggredita e in cui – fatto strano … – la sorella e la madre ancora vivono. Una volta arrivata, fatti sinistri si susseguono, come se vi fossero due universi permeabili, che condurranno a un tanto terribile quanto geniale colpo di scena. Il segreto è rivelato lentamente, mentre da una parte la timida Beth, propensa a viaggi pindarici con la mente, torna alla cruda realtà per salvare la più volitiva Vera. E’ un cammino interiore e doloroso, paradossale, ma non improfìcuo, come in fondo lo era quello di Martyrs.
Horror truce e raffinato al contempo, il francese rassicura i fan confermando con la sua ultima fatica di non aver svenduto la sua arte – come altri suoi connazionali – al mercato, ma di essere ancora capace di una personalissima conturbante e sanguinaria vision.
Per chi cercasse delucidazioni sul significato del film o sul finale, vi rimandiamo alla nostra spiegazione approfondita.
Di seguito trovate il trailer italiano: