Voto: 6.5/10 Titolo originale: The World's End , uscita: 18-07-2013. Budget: $20,000,000. Regista: Edgar Wright.
La Fine del Mondo: Edgar Wright firma la commedia più cupa della trilogia del Cornetto
25/06/2025 recensione film La fine del mondo di Gioia Majuna
Un'opera intrisa di nostalgia, autodistruzione e libertà, tra birre, alieni e dolore

C’è qualcosa di profondamente tragico e disperato dietro la patina brillante e ubriaca de La Fine del Mondo (The World’s End), ultimo tassello della trilogia del Cornetto diretta da Edgar Wright, ed è qualcosa che nessuno si aspettava dopo L’alba dei morti dementi e Hot Fuzz: la devastazione dell’identità maschile contemporanea, l’autodistruzione dell’amicizia come mito post-adolescenziale, e la consapevolezza che la nostalgia sia il vero alieno che ci ha già sostituiti.
Il film racconta il viaggio di cinque amici d’infanzia riuniti da Gary King (Simon Pegg) per completare un epico pub crawl di 12 birre interrotto anni prima, ma lo scopo si rivela un’ossessione tossica, un delirio regressivo travestito da redenzione.
Gary non è un eroe incompreso, è un disadattato tossicodipendente, incatenato a un momento mitico che non esiste più, e lo scontro con una rete di alieni-assimilatori che hanno standardizzato la cittadina di Newton Haven è solo la metafora fantascientifica del terrore di diventare adulti in un mondo che ti vuole sobrio, responsabile e conforme.
Wright gira come se fosse ubriaco di cinema: movimenti di macchina ipercinetici, montaggi sincopati, coreografie da rissa trasformate in musical post-britpop, eppure tutto converge verso una malinconia che in Shaun e Hot Fuzz era solo latente.
Ogni pub visitato è uguale all’altro, ogni birra è identica, ogni replica robotica degli abitanti è una denuncia dell’omologazione culturale. Non è solo la fine del mondo, è la fine dell’individualismo emotivo, dell’autenticità dei ricordi, della possibilità di scegliere se crescere o restare sospesi.
Le figure femminili sono ridotte a fugaci apparizioni o fantasmi da rimpiangere (come la Sam di Rosamund Pike), e questo non per misoginia, ma perché La Fine del Mondo è un’ode perversa al fallimento maschile, alla crisi dei legami virili che una volta erano cementati dalla condivisione del rischio, e ora sono marciti nell’alcolismo, nell’ansia sociale, nel rifiuto del presente.
L’epilogo post-apocalittico non è distopico: è liberatorio, come se la distruzione del sistema fosse l’unico modo per tornare a essere qualcuno. Wright e Pegg ci portano fino in fondo a un’odissea ubriaca, e invece di lasciarci con la redenzione, ci regalano una catarsi in stile Mad Max, dove i robot sono più umani degli uomini e l’umanità è stata finalmente liberata dalla rete.
Una commedia sull’apocalisse che riesce ad annunciare, in anticipo su molte altre opere, che il vero collasso non sarà esterno ma interno. Un’opera che ride, piange, pesta e barcolla, fino a cadere in ginocchio davanti a un mondo in cui essere adulti è il vero orrore.
Di seguito il trailer internazionale di La Fine del Mondo:
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