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Titolo originale: Dracula , uscita: 30-07-2025. Budget: $40,000,000. Regista: Luc Besson.

Intervista esclusiva a Luc Besson: “Il mio Dracula non è per i fan del personaggio classico”

21/10/2025 news di Alessandro Gamma

Abbiamo incontrato il regista francese, parlando del suo nuovo film e della sua scarsa passione per i sequel

luc besson sitges 2025

Tra le molteplici incarnazioni del mito di Dracula che tornano a popolare gli schermi nel 2025, quella di Luc Besson è senza dubbio la più inattesa e personale. Dopo l’anarchia satirica del rumeno Radu Jude e la rilettura psicologica di Abraham’s Boys incentrata sul trauma di Van Helsing, Dracula – L’amore perduto segna il ritorno del regista francese di Léon e Il quinto elemento a un cinema visionario e sentimentale, dove l’orrore lascia spazio alla tragedia del tempo e dell’amore eterno.

Presentato come “una storia d’amore e di vita”, il film nasce dal desiderio di esplorare la disperazione di un uomo condannato a quattro secoli di solitudine, e la possibilità di cambiare anche quando tutto sembra perduto. Come ha dichiarato Besson, “non è un film sull’orrore, ma sulla speranza che sopravvive al buio”.

È da questa visione che parte la nostra intervista esclusiva con Luc Besson al Festival di Sitges 2025, in cui il regista racconta il suo Dracula, il senso della sua immortalità, e la nascita di due elementi inediti – il profumo e i gargoyle – che trasformano il mito in un racconto sensuale, spirituale e sorprendentemente umano.

Il tuo Dracula sembra riflettere non solo sull’immortalità e sul desiderio, ma anche sulla solitudine e sulla fragilità umana. Come hai bilanciato gli elementi horror con quelli emotivi e filosofici della storia?

È molto più un film sulla solitudine e sull’amore che sulla fragilità psicologica del mostro. È un mostro, certo, ma lo amiamo. È come ne La bella e la bestia: lui è una bestia, ma perché? Perché era un uomo innamorato. Ed è proprio da lì che nasce la mia attrazione per il personaggio. È come in Léon: Léon è un killer che non sa leggere né scrivere, ma è l’unico in grado di salvare una bambina. Questo dice molto su di noi, sulla nostra società. Il male a volte può essere buono, e il bene può essere davvero cattivo. Soprattutto nel cinema. Ma anche nella vita. E ancora di più in politica. Chi dovrebbe essere “buono”, spesso è il peggiore.

DRACULA L'amore perduto film calebParlando di Dracula, si tratta di un mito raccontato infinite volte. Ci sono state molte versioni. Quale elemento hai deciso di cancellare o riscrivere per renderlo tuo? E quale cambiamento pensi farà più discutere?

In realtà non ho cercato di “entrare nel gioco” di Dracula. Per me non è affatto un film horror. Uso Dracula solo come sfondo. Si potrebbe anche togliere il suo nome dal titolo e chiamarlo semplicemente ‘Una storia d’amore’. Non volevo rifare Dracula come genere, così come non chiedi a qualcuno “perché fai un western?” quando ne sono già stati fatti migliaia. Perché ha una storia da raccontare, tutto qui. So che ci sono persone che amano profondamente il personaggio di Dracula, ma questo film non è per loro. Forse c’è un po’ di confusione. Non è per i fan dell’horror classico: loro resteranno delusi. Perché non è una storia di Dracula con sangue e terrore. Esiste anche un altro film rumeno del 2025 intitolato Dracula, che è quasi comico. Ma nel mio, spero che il pubblico venga per la storia d’amore, non per i morsi.

Parliamo delle due novità che hai introdotto nella sceneggiatura: il profumo e il gargoyle. Come hai deciso di inserire questi elementi nel tuo Dracula?

Va bene, partiamo dalla sceneggiatura. Hai quest’uomo che aspetta da quattrocento anni. Vuole ritrovare sua moglie. Può andare ovunque, ma da solo gli ci vorrebbe un’eternità. Allora si dice: “Devo trovare un modo perché sia la donna a venire da me, così posso vedere più donne e magari riconoscere la mia.” A quei tempi non esistevano i giornali, non potevi pubblicare un annuncio tipo “Cerco disperatamente mia moglie”. Come poteva farlo, allora? Attraverso la musica, che arriva alle orecchie. Oppure con un profumo, che parla ai sensi. La musica è l’udito, il profumo è l’olfatto; la voce sarebbe stato il giornale, ma non c’erano giornali. Così ho scelto il profumo, come mezzo per attirare le donne. La cosa interessante è che lui ama una sola donna. Non gli importa nulla delle altre. Il profumo non serve per sedurre, ma per cercare, per avvicinare il ricordo di quella che ha perso.

E il gargoyle?

Anche quella nasce dalla scrittura. Mi sono chiesto: “Questo uomo vive in un castello da quattro secoli… ma chi si prende cura del castello?” Schiavi? Persone che ha morso? Donne? Nel romanzo, per esempio, ha delle ninfe – tre ninfe che vivono con lui nel castello – ma è una cosa un po’ strana: cerca sua moglie e intanto ha tre ragazze a casa. Così ho iniziato a cercare, a guardare Notre-Dame, i gargoyle di Notre-Dame, e mi sono detto: “Forse potrebbero essere loro a occuparsi del castello.” Poi mi sono chiesto: “Ma da dove vengono questi gargoyle?” E ho pensato: “Forse sono bambini.” Perché lui non vuole uccidere i bambini. Quindi li trasforma in gargoyle, così possono servirlo. È così che funziona la scrittura di una sceneggiatura: non è che ti viene un’idea e la inserisci perché suona bene. Prima ti chiedi: “Qual è il mio problema? Come posso risolverlo?” E solo dopo cerchi le idee per risolverlo.

leon film portmanVorrei chiederti dell’attore Caleb Landry Jones. È vero che avete deciso di fare questo film insieme già durante le riprese di Dogman?

Sì, esatto, proprio durante Dogman. Stavamo girando in New Jersey, aspettando una scena, bevendo dell’acqua – non beviamo alcolici – e abbiamo iniziato a parlare del desiderio di fare un altro film insieme. Per scherzo abbiamo fatto una lista di ruoli assurdi: De Gaulle, Gesù, Mao Tse-tung, Versace, Dalí… e poi abbiamo detto “Dracula”. E lì entrambi ci siamo fermati: “Forse… potrebbe funzionare”. Così ho riletto il romanzo e sono rimasto sorpreso da quanto fosse romantico, in realtà. Dimenticate la parte horror: è la storia di un uomo che aspetta quattrocento anni solo per dire addio, come si deve, alla donna che amava. È una cosa incredibilmente romantica. Da lì ho iniziato a scrivere, scambiandomi idee con Caleb, e abbiamo costruito tutto insieme.

E come hai scelto l’attrice per il ruolo femminile?

Non riuscivo a trovare la mia Elisabetta. Ho visto diverse attrici, ma non sentivo quella scintilla. Poi Caleb mi ha mandato una foto — credo tramite Instagram, per via della musica – dicendo: “Dovresti vedere questa ragazza”. L’ho guardata, e poi ho capito di conoscerla: era Zoe, la figlia di Rosanna Arquette. L’avevo incontrata quando aveva tre settimane di vita! È cresciuta un po’, diciamo. L’ho incontrata di nuovo e ha fatto molti provini, duri, perché un ruolo del genere richiede forza, non puoi interpretarlo se non sei pronta. È minuta, ma molto forte. E alla fine ha ottenuto la parte. Io, Caleb e lei siamo andati per quasi due settimane in una spa a provare, parlare, mangiare insieme – colazione, pranzo, cena – per dodici giorni, creando una base solida. Quando arrivi sul set, quella base è la tua pietra: tutto il resto può costruirsi attorno. Senza quella, il regista si perde tra luci e dettagli tecnici. Serve avere prima un cuore forte.

Hai detto spesso di non voler fare sequel o ripeterti, come un altro Léon o Il quinto elemento. Quando hai capito che anche una buona idea può diventare solo un’eco sterile del passato?

Non è tanto questione di idea, ma di regia. Se sento che un altro regista potrebbe farlo meglio di me, allora che senso ha farlo? Per questo non ho mai diretto Taken o Transporter: i registi che li hanno fatti hanno fatto un ottimo lavoro, e io non avrei pottuto farli meglio. Ma ci sono film che sento miei, come Le Grand Bleu. Io sono un pesce, e forse solo James Cameron, che è un altro pesce, potrebbe capirlo. The Big Blue fa parte della mia giovinezza in Grecia, quindi dovevo farlo. Lo stesso vale per Léon. È una storia con Jean Reno, mio amico da sempre. Ci sono film che devi fare, perché ti appartengono. È l’unica guida che seguo.

Quindi niente sequel, mai?

Dipende. Ad esempio ho scritto Taxi, che è una commedia. Quei personaggi sono divertenti, un po’ stupidi: sì, li vuoi rivedere.
Ma Léon è morto. Le Grand Bleu è andato. Non c’è bisogno di tornare indietro. A meno che… non arrivi il figlio di Léon!

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