L'attrice premio Oscar ritrova il regista Tate Taylor e sfodera una prova densa di tragicità e follia nel revenge horror - a un passo dalla exploitation degli anni '70 - prodotto dalla Blumhouse
MA di Tate Taylor (The Help e Get on Up – La storia di James Brown) parte da un concept piuttosto semplice, vedere il premio Oscar Octavia Spencer (La forma dell’acqua) trasformarsi in una psicopatica che la fa pagare a un gruppo di ignari adolescenti. E il nuovo horror low budget della Blumhouse in definitiva non si sforza di offrire al pubblico molto di più.
Infatti, la maggior parte del fascino del film si annida in quest’unica nota, e tutti sembrano più che contenti di assecondarla al massimo nei 99 minuti di durata, per un risultato che è al contempo familiare e ispirato, almeno fino a quando non decide di andare All in nel gore, salvo tornare timidamente indietro e cadere a due passi dal traguardo.
Alla fine si accontentano di Sue Ann (Spencer), un’assistente in una clinica veterinaria la cui iniziale riluttanza si trasforma presto in uno sconcertante entusiasmo: non solo compra loro scorte di bottiglie di alcolici, ma li invita anche a far festa nella sua cantina, che presto diventa un popolare luogo di ritrovo per i giovani, anche se qualcosa chiaramente non quadra in questa donna apparentemente ben intenzionata.
Se questo film fosse stato prodotto 40 o 50 anni fa, quasi certamente avrebbe potuto contare su uno di quei memorabili e assurdi titoli del calibro di I raptus segreti di Helen o Chi giace nella culla della zia Ruth? ‘Cosa c’è di sbagliato in MA?’ sarebbe stato senz’altro azzeccato, dal momento che è proprio questa affermazione fa da filo conduttore alla maggior parte del lungometraggio di Tate Taylor. Lo si approccia con la chiara consapevolezza immediata che Sue Ann (che alla fine adotta il nome “Ma” per volere dei ragazzi) abbia qualcosa che non va.
Non bisogna nemmeno star a cercare un’oscurità latente nascosta sotto quella facciata, quando ad esempio la donna distribuisce salatini o costringe uno dei maschietti a spogliarsi sotto la minaccia di una pistola come parte di un perverso “scherzo” la prima volta i giovani vanno nella sua cantina. No. Le uniche domande da porsi è ‘quanto Ma sia davvero fuori di testa e fino a dove voglia spingersi’.
Sia Octavia Spencer che la sceneggiatura adottano un approccio abbastanza educato che non si può fare a meno di chiedersi quali siano i dettagli in tal senso. Palese è infatti che la 47enne premio Oscar stia assaporando sul grande schermo un ruolo che le permette di agire in totale libertà e di strizzare quasi l’occhiolino al pubblico; spessissimo Ma è colta dalla mdp mentre osserva in modo bieco da lontano o in gesti che offrono brevi bagliori della sua evidente psicosi. E anche nei frangenti più innocui – come mimare il classico robot mentre danza nel seminterrato – cova un sinistro intento. La donna è essenzialmente l’incarnazione della teoria della “bomba sotto il tavolo” di Alfred Hitchcock che aspetta solo di esplodere, e lo script è estremamente paziente nel prendersi il tempo necessario prima di arrivare ai sanguinosi fuochi d’artificio.
Un sentore di tristezza si annida nella sua disperazione e i suoi occhi sembrano riflettere inizialmente più tragedia che squilibrio mentale. È questo il motivo per cui MA mette a disagio – c’è una donna che sembra delicatamente in bilico tra il “modo di fare inappropriato ma innocuo” e il “decisamente fuori di testa”, e non si è sicuri se doversi dispiacere per lei o sperare che possa ottenere la sua vendetta.
La sceneggiatura spinge il pubblico in entrambe le direzioni. L’insistenza di Ma che i ragazzi – piuttosto stereotipati invece – non vadano al piano superiore della casa e gli inevitabili, strani rumori che provengono dall’alto, confermano che lei non ha assolutamente buone intenzioni. Dall’altra parte, i flashback intermittenti dei giorni della giovinezza di Sue Ann tratteggiano una storia diversa e più comprensiva, rivelando che lei era un’adolescente timida e maldestra perennemente lasciata ai margini.
A poco a poco, questo retroscena diventa la vera spinta di MA, col copione che reindirizza le aspettative degli spettatori e tira i fili intorno al mistero che circonda il trauma di Sue Ann, spostando sottilmente la narrazione principale a ogni nuova rivelazione. E, alla fine, con ulteriore twist (prevedibile) rivela che Ma è in realtà un angelo della vendetta che ha adottato un metodo ben preciso dietro alla sua pazzia; inoltre, almeno parte della sua follia e sete di sangue è completamente giustificata, se non addirittura comprensibile.
Tuttavia, tutti questi fili si intrecciano in modo un po’ sgraziato al momento del culmine, quando la proverbiale bomba esplode e scatena l’energia sopita, nascosta lungo la prima parte del film, con una serie di rivelazioni e violente esplosioni. Ci sono alcune sorprese, ma è probabile che non siano proprio scioccanti come le pubblicità lasciavano intendere in fase promozionale. Tra l’altro, la più grande rivelazione è in realtà un deus ex machina.
Per qualche motivo tuttavia, il revenge horror di Tate Taylor non ascende mai a livelli così alti (o bassi, a seconda di come li reputate). Dopo 80 minuti di intenso accumulo, sfrigola leggermente invece di esplodere in un torrente in piena di pura follia. Forse perché Sue Ann è contemporaneamente tragica e squilibrata, il film opta per tenere il piede in entrambe le scarpe. Così, ognuno ottiene ciò che merita, tranne, forse, gli spettatori, che vorrebbero che Ma fosse andata un po’ oltre.
In ogni caso, l’ora e mezza spesa a guardare MA non si può dire del tutto gettata via nonostante le possibili delusioni di cui sopra, proprio grazie al carisma e alla personalità iniettati da Octavia Spencer e alla capacità del regista Tate Taylor di mettere insieme un’opera che comunque riesce a fondere con un certo equilibrio tensione e momenti più leggeri e divertenti con disinvoltura.
Di seguito il trailer italiano di MA, uscito in sordina nei nostri cinema il 27 giugno dopo aver raccolto 44 milioni di dollari in patria (a fronte dei 5 milioni di budget):