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Intervista esclusiva a Nancy Loomis: John Carpenter, la magia dei set anni ’70 e la rinascita di Halloween III

22/10/2025 news di Alessandro Gamma

Abbiamo incontrato l'attrice oggi 75enne, volto storico di molti horror che han fatto epoca

nancy loomis sitges 2025

Ospite d’onore al Sitges Fantastic Film Festival 2025, Nancy Loomis (o Nancy Kyes) ha portato sullo schermo un’energia ironica e autentica che l’ha resa una figura imprescindibile del cinema horror. Indimenticabile nei panni di Annie Brackett in Halloween (1978), è stata parte integrante del sodalizio creativo con John Carpenter e Debra Hill, collaborando anche a Distretto 13 – Le brigate della morte (1976) e Fog (1980).

In questa intervista esclusiva, l’attrice ripercorre con sincerità e affetto gli anni d’oro del genere, raccontando la nascita di una chimica unica sul set di Halloween, la rivalutazione di Halloween III – Il signore della notte, e il suo punto di vista sull’evoluzione del cinema horror, tra artigianalità, CGI e nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale.

Partendo da Halloween: tu, Jamie Lee Curtis e PJ Soles avevate una chimica davvero credibile sullo schermo. Secondo lei, cosa ha reso quell’amicizia così reale e quanto è venuto dall’improvvisazione o dal vostro rapporto fuori dal set?

Beh, è stato un insieme di cose: la sintonia che avevamo fuori dal set, il tempo trascorso insieme e l’improvvisazione che ci è stata concessa durante le riprese, oltre all’atmosfera generale di cameratismo creata da John e Deborah Hill e dall’intera troupe. Eravamo tutti molto giovani, la maggior parte di noi era già amica, e volevamo solo divertirci. Eravamo dei ragazzi che cercavano di girare un film spaventoso… ma fare un film spaventoso è anche molto divertente! Cercavamo di capire come far ridere… cioè, urlare, le persone. E ridevamo come matti, ogni giorno. È stato difficile, abbiamo lavorato tanto, ma volevamo fare un buon film – e ci siamo divertiti un mondo a scoprire come farlo. E si vede sullo schermo. Sì, tutto è lì, sullo schermo.

nancy kyes film halloweenL’ha sorpresa la reazione del pubblico quando il film è uscito?

No, non direi sorpresi, ma sicuramente entusiasti. Eravamo felicissimi che la gente lo apprezzasse e che avesse successo. Non avevamo idea che avrebbe avuto tutto quel successo, ma eravamo abbastanza sicuri di aver fatto un buon film. Solo che non si può mai sapere: ci sono tanti ottimi film che non ottengono subito il riconoscimento che meritano.

Passando a Halloween III oggi ha moltissimi fan, me compreso. È passato dall’essere considerato un’eccezione nella saga a un autentico film di culto. Quando ha capito che i fan lo stavano rivalutando? E cosa apprezza personalmente dell’idea di un film di Halloween senza Michael Myers?

Penso sia un’idea splendida – ed era proprio l’idea originale. Quando fu realizzato il primo Halloween, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, stava nascendo la moda dei sequel, visti come un modo sicuro per ripetere il successo di un film. La pressione per realizzare un seguito era enorme, e ciò significava che Michael Myers sarebbe probabilmente tornato. Ma c’erano due visioni in contrasto: l’idea originale del franchise era di fare sì un seguito, ma legato solo al tema della festività di Halloween, con una storia completamente nuova ogni volta. Il filo conduttore sarebbe stato appunto Halloween, la festa stessa – che oggi è la più popolare in America, e ormai anche in Europa. Halloween è diventato un carnevale. Tutto nasce da questo genere, da questa cultura nata alla fine degli anni ’70 che oggi è parte integrante della società.

Ma all’epoca, l’assenza di Michael Myers in Halloween III non fu accolta bene. Oggi invece il film viene apprezzato per quello che è, un’opera a sé stante. Tommy Wallace, il regista, ne parla nel suo libro come di un film indipendente che regge perfettamente anche senza il nome “Halloween 3” – potrebbe semplicemente chiamarsi Season of the Witch. E avrebbe perfettamente senso. Ma, come sappiamo, i fan sono conservatori… ed è per questo che nel quarto capitolo si tornò alle origini.

Quando pensa che sia iniziata la sua rivalutazione?

Credo nei primi anni 2000, quando è esploso il fenomeno delle convention e, grazie a Internet, i fan hanno potuto incontrarsi, discutere e scambiarsi opinioni. Andando a questi eventi, ho notato che inizialmente c’era un grande dibattito su Halloween III – se fosse un buon film o meno. Poi quella discussione è semplicemente scomparsa. Sempre più persone arrivavano con poster e aneddoti, e tutti parlavano di quanto fosse un bel film. E in effetti lo è. Oggi quel dibattito non esiste quasi più: anche chi non lo considera il proprio Halloween preferito, riconosce che è un film realizzato benissimo.

nancy kyes film fogSe dovesse girare il mitico omicidio in macchina della sua Annie Brackett oggi, cosa cambierebbe – nella recitazione, nel tono o nel sottotesto – per parlare al pubblico contemporaneo?

Mah, cosa si aspetterebbe oggi il pubblico? Effetti digitali? Qualcosa di più surreale, forse? Non ne sono sicura. Il genere è cambiato molto. Lo si vede anche nei festival: c’è un grande dibattito, ma secondo me è una falsa contrapposizione, perché il cinema cambia, e cambia anche il modo in cui vogliamo essere intrattenuti. L’arrivo degli effetti digitali ha rivoluzionato tutto: tutti volevano provare questo nuovo strumento, sperimentare. Ne sono venute fuori cose bellissime e altre meno riuscite. Ora sta arrivando l’intelligenza artificiale, che cambierà di nuovo tutto e porterà un altro modo di pensare l’intrattenimento. E chi può prevedere cosa accadrà?

Come attrice, nella scena in macchina in cui il mio personaggio viene ucciso, abbiamo girato tutto in una o due riprese al massimo. C’era moltissima nebbia, e quel fumo era altamente tossico. Nessuno voleva respirarlo – tantomeno io. Quindi volevamo solo finirla in fretta. Poi in fase di montaggio hanno fatto tutto quello che serviva. Non c’erano effetti speciali digitali, niente di tutto ciò. Ed è proprio uno dei motivi per cui quel film regge ancora oggi, e per cui sembra così “vecchio stile”. Che va benissimo, in realtà. Gli effetti speciali invecchiano. Le protesi, no. Perché puoi vedere che sono pupazzi, ma i pupazzi restano sempre pupazzi: hanno fascino. È come il sangue finto – non deve sembrare reale per funzionare. È un dibattito difficile, dipende tutto dall’estetica da cui parti, secondo me.

Ad ogni modo mi piacciono molto i pupazzi, ne sono una grande fan. Io vengo dal teatro, e lì i pupazzi sono tutto – penso al Bread and Puppet, per esempio. E poi, come attrice, è bello poter recitare con qualcosa di tangibile, non con un palloncino o una pallina da tennis immaginando cosa ci sarà aggiunto in CGI dopo.

nancy kyes distretto 13 filmParliamo di Halloween, Fog e Halloween III: com’è stato vedere John Carpenter e Debra Hill crescere e cambiare su quei set? E in che modo il tono o l’atmosfera di ciascun film le è sembrato diverso da attrice?

Beh, la differenza era soprattutto economica. Avevamo più soldi per girare Halloween rispetto ad Distretto 13. E quando abbiamo fatto The Fog, avevamo un budget molto più alto rispetto a Halloween. Questo ha permesso di assumere nuovi talenti e ampliare le idee alla base della storia. Potevamo permetterci più effetti speciali… o meglio, più nebbia!

E più tempo per lavorarci, perché era molto difficile da gestire. Inoltre, abbiamo potuto girare in una location meravigliosa come Point Reyes. Tutto questo non rendeva il lavoro più facile, ma sicuramente più entusiasmante. È sempre così: l’estetica nasce dai limiti che hai, ma quando hai più soldi devi anche sapere come usarli. A volte ti danno 50 milioni di dollari e non sai cosa fartene! John Carpenter era un maestro, anche se forse all’epoca non ci rendevamo conto di quanto fosse bravo. Già in Distretto 13 prendeva decisioni solide, scelte cinematografiche vere e proprie. Lo adoro, è così divertente! Un uomo delizioso e affascinante.

Restando su Distretto 13, il tuo personaggio è forte e pragmatico, molto diverso da Annie Brackett. Come hai affrontato quel tono più “western” e fantastico dei primi lavori di Carpenter?

Quello era il mio primissimo film, e io ero terrorizzata. Avevo paura della macchina da presa e non credo di aver recitato molto bene. Stavo solo cercando di cavarmela. Inoltre ero anche costumista sul set, facevo scenografia e props, quindi lavoravo tantissimo dietro le quinte, e questo ha sicuramente influito sulla mia performance. Ma non so se sarebbe andata meglio anche se non avessi fatto tutto il resto, perché ero comunque nervosa. Col tempo, però, quella paura è diminuita. Venendo dal teatro, ero abituata a tante prove, pianificazione, continuità nel costruire un personaggio – tutte cose che nel cinema non esistono. Ci è voluto molto per adattarmi: una ripresa, e via, poi magari giri la scena finale prima di quella iniziale. È un altro mondo. Ma John ha reso tutto più semplice: sapeva come mantenere tutti rilassati sul set, come farci andare avanti. Sapeva ascoltare, e sapeva esattamente cosa voleva. Tutto questo, alla fine, ti fa sentire al sicuro.

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