Un'opera d'animazione visionaria, dalla potenza eclettica. Folgorante, psichedelica e unica nel suo genere, si impone con forza nell'immaginario di chi la guarda.
Si può e si deve utilizzare l’animazione come mezzo per spiegare e gridare al mondo le ingiustizie e lo sdegno che la razza umana è riuscita a protrarre nel corso del tempo e della storia. Si può e si deve ricordare che l’animazione non è solo un passatempo divertente per bambini, ma appartiene anche agli adulti. Si può e si deve ricordare che è grazie all’animazione sono stati fatti capolavori senza tempo dove temi come l’ambiente o la guerra sono riusciti a spiegare ai bambini (e a far riflettere gli adulti) la situazione estrema del mondo attuale (lo Studio Ghibli ne è un chiaro e perfetto esempio).
Siamo in Francia in un medioevo lontano, quasi sospeso nel tempo. Jean e Jeanne, una coppia di giovani sposini, sono in cerca dell’approvazione del feudatario di turno: un uomo avanti con l’età circondato da servi e da un’aura malvagia e austera. Esteticamente si presenta ai nostri occhi con un aspetto mostruoso e i suoi modi di fare severi e privi di scrupoli rispecchiano perfettamente il suo lato estetico. La coppia nata secondo le regole e la grazia di dio, unita dal matrimonio è illusa nel poter riuscire a superare l’incontro, convinta di suscitare tenerezza ed empatia da parte dei presenti, ma i soldi donati dal novello sposino non sono abbastanza e l’unico lascia passare è la verginità della giovane e bellissima donna (il cosiddetto ius primae noctis). Viene così violentata non solo dal patrono, ma anche dai cortigiani di turno che vengono rappresentati non con sembianze umane, ma come mostri, creature infernali che stanno commettendo (ben consci) uno degli atti più riprovevoli che un essere umano possa commettere. Jeanne subisce senza reagire lo stupro e fa ritorno a casa malconcia. Vestiti strappati e dolorante si prostra al marito in un grido liberatorio, piangendo disperata si stringe al collo di Jean, egli però non regge il confronto. Impotente e debole, non ha le capacità e la forza di consolare la propria amata.
La sua debolezza non gli permette di gestire in modo sensibile e maturo il fatto appena accaduto. “Dimentica tutto, ricominciamo da capo!” è questa l’unica frase che riesce a dire per sostenere la disperazione della giovane donna. In quella notte-incubo, la vittima umiliata inizia a covare del rancore misto a rabbia e nel silenzio ombroso e tombale, le fa visita un essere piccolo dalla voce vivace. Esso può divenire più grande e più potente, ma ciò potrà accadere solo attraverso Jeanne: è con la sua volontà e il suo volere che può restituire forza a questa creatura inquietante. E’ lei che lo ha invocato, ed è sempre lei ad alimentarlo. Avviene un approccio ambiguo, senza spiegazioni. La creatura dimora dentro di lei, nella sua indole e nell’intimità del proprio animo gli permette con qualche remora di avvicinarsi sessualmente, facendole provare del piacere fisico. Combattuta chiama il nome di Dio, ma quell’entità è troppo forte e il piacere della carne va oltre l’Edilio metafisico. Da qua inizierà un vero e proprio processo esistenziale intimo ed emotivo che ci porterà a conoscere meglio Jeanne e la sua indole. Una donna piena di contraddizioni, lucida e ferma, pronta a commettere qualsiasi azione (anche riprovevole) nel nome di Jean e del sentimento forte che la unisce al marito. Ogni qual volta subisce un’ingiuria, ogni volta che viene umiliata e massacrata, il suo rancore e il suo odio cresceranno e insieme a loro il piccolo diavolo, desideroso di possedere la sua anima.
E’ lei che pur di non vedere Jean soffrire afflitto dalle proprie debolezze, continua a reinventarsi. Il patto con il Diavolo si fa sempre più accurato e vicino. Ogni volta che dona il suo corpo al re delle tenebre (e con esso un pezzo della sua anima), Jeanne riesce a risolvere situazioni famigliari disperate. Durante la guerra (e quindi l’assenza del sovrano e di molti uomini del villaggio) diventa usuraia. Gira per il villaggio vestita di verde (ai tempi visto come il colore dei potenti/sovrani e quindi del diavolo) e va in giro a prestare denaro per poi riprenderlo con gli interessi. Si arricchisce. E’ lei a portare la grana in casa. Dinanzi a una potenza tale il marito rimane sempre più nell’ombra, avvizzito e arreso, schiavo dell’alcol, è inerme e attonito di fronte a una tale forza della natura.
Dal particolare (la propria esistenza) al generale (la società) riuscendo così a proiettare il proprio riflesso come esempio per una nuova visione delle cose. Nel 1984 Neil Jordan gira In Compagnia dei Lupi, che si presenta allo spettatore come una favola, ma è quasi subito evidente la metafora particolare e affascinante che vuole esibire. La crescita, l’arrivo delle mestruazioni e il desiderio di scoprire il sesso. Unisce il puerile all’onirico, il famelico al desiderio. Una parabola che verte a raccontare passaggi di vita comuni a molte donne. Un altro esempio, ma più recente, è The Witch (Robert Eggers, 2016). Un film cupo, dai toni oscuri e inquietanti, che utilizza la crescita fisica ed emotiva della protagonista, Thomasine (Anya Taylor-Joy) come metafora di emancipazione. Una voglia di liberarsi dalle catene (la religione, la moralità, il peccato e l’accettazione di ogni evento negativo, in quanto “divino”), scindere il legame di sangue con la propria famiglia e volare in cielo verso nuove possibilità, nuove esperienze e la gioia di poter vivere la propria esistenza come sola e unica.
Pur sapendo cosa le aspetta, Jeanne ha quella consapevolezza pura e arcaica di chi attua un sacrificio nel nome della libertà. Quello di Belladonna of Sadness è uno stile particolare e personale, fatto di inquadrature fisse, acquerelli e colori ad olio, con immagini che si trasformano davanti a noi componendosi in maniera diversa rispetto a prima, rimescolandosi e divenendo arte nuova. Un’animazione associabile al concetto di metamorfosi. I colori sono pastello, ma spesso la cupezza e l’oscurità fanno da padrone per scene più spaventose (soprattutto quando entra in gioco il diavolo con i suoi incubi). Artisticamente alcuni disegni sono un evidente omaggio a Egon Schiele, gli abbracci ritratti ricordano le opere di Gustav Klimt.
Vi è addirittura una plateale citazione alla pop art, messa come monito verso il futuro e l’evoluzione che questo mondo dovrà affrontare. E’ proprio grazie a questo stile, si ha la sensazione di come sia tutto sospeso. Levitiamo nel tempo e Jeanne è lì che ci guarda, ci asseconda, ci chiede sostegno pur sapendo l’impossibilità di averlo. La sua bellezza evidente è segnata da un tratto forte, dove i lineamenti sono sempre disegnati con una precisa decisione, al contrario dei personaggi intorno. Spesso il popolo sottomesso non ha un volto, sembrano maschere prive di personalità e quando si presentano a noi in maniera diretta a volte ci appaiono quasi mostruosi, ma qualcosa va a cambiare nel finale.
Durante l’ultimo atto, nel tacito dissenso, Jeanne sta dicendo addio a questa effimera esistenza. L’imago Christi (figura iconica che ritrae l’atto finale della passione di Cristo) usato con maestria, ci trasmette il dolore e l’incomprensione di fronte a una tale brutalità (conferma finale l’omicidio di Jean da parte delle guardie): il popolo si ribella come adirato e frustrato nel subire un’ingiustizia così pusillanime, ma le guardie con le loro armi sono troppo forti e li spaventano nuovamente, rimettendoli al loro posto. Ma mentre Jeanne brucia in una sconfitta che in realtà è una vittoria, i volti-maschere delle donne presenti assumono i lineamenti della martire. Siamo tutte Jeanne, siamo tutte libere di esprimere la nostra esistenza ognuna con una sensibilità diversa. L’unione verso l’incompreso che non deve essere additato come folle.
Jeanne è una martire, una santa e un’eroina di altri tempi. Un finale che ricorda concettualmente Antichrist (Lars von Trier, 2009). Dove senza spiegazioni dopo una violenza feroce e spietata, vediamo l’Eden (il bosco) invaso da donne, sotto lo sguardo scioccato del protagonista (William Dafoe). Un inno al sesso femminile. Irrazionale e puro. Von Trier ci spiega senza parole come spesso nella follia e nel caos si possano trovare risposte poco prima sconosciute, e come la libertà (anche espressa nel modo più estremo possibile) riesca a risplendere di luce nuova.
Lo stesso romanticismo che utilizzano Eiichi Yamamoto e Yoshiyuki Fukuda. Lo stesso impatto, la stessa forza che deve essere da esortazione. Perché è nella violenza artistica ed emotiva, nel turbine del caos che siamo costretti a confrontarci con noi stessi. Non dimentichiamo Jeanne, indossiamo il suo volto fieramente. Uomini e Donne.
Di seguito il trailer internazionale: