Il sorprendente primo lungometraggio del regista irlandese ci immerge in un rituale oscuro che concretizza visivamente l'angoscia della protagonista
Diffusa credenza è che – soprattutto di questi tempi – un horror, per avere successo, ancor più se implichi il paranormale, debba avere un budget cospicuo, così da poterlo disseminare di effetti speciali e computer grafica; l’idea, la visione e la sceneggiatura in fondo non sono poi tanto fondamentali, mere minuzie buone per i sostenitori dell’indie, che non avendo fondi devono per forza potersi vendere in altro modo.
Ebbene, l’assunto che siano le pecunie a fare la pellicola del terrore è fallace, spesso anzi i prodotti commerciali, proprio per la necessità di avere maggiori ritorni dell’investimento, quindi un pubblico più numeroso e di conseguenza un rating il più possibile permissivo (di norma un PG-13), tolgono ogni elemento che gli valga l’appartenenza stessa al genere, risultandone così un insipido mistone di cliché diluiti e dialoghi sciapi. Al contrario è proprio tra coloro che rimangono nel sottobosco del sottofinanziato che le migliori e più originali opere si generano, un po’ per maggior necessità di inventiva a sopperire i pochi mezzi, ancor più per la libertà creativa di cui possono contare.
Questi, unico a conoscenza dei complicati passaggi del misterioso rituale, viene assoldato dalla donna e i due si recano in una casa disabitata, da lei comprata ad uopo, decisi a rinchiudervisi per il tempo necessario per ultimare l’evocazione. Infinita e dolorosa sequenza di azioni, approntate ognuna in una diversa stanza, la cerimonia tinta di dark implica il reiterarsi fino allo spasmo di gesti, lo scrivere segni, il professare invocazioni, è un andamento circolare e sempre più straniante, lo spettatore è avvolto da una andamento spiraliforme. Nulla accade, sembra sia tutto un miraggio a cui una madre prostrata dal dolore ha voluto credere. Poi le entità iniziano a farsi sentire nei corridoi vuoti e silenziosi, ma non sono chi lei desiderava. Un suo errore rende il cammino spirituale ancor più denso di tenebra, il rito si tramuta in vessazioni fisiche, in sacrificio, il dolore è reso con una crudità disarmante: i brividi mentre è fradicia, le deprivazioni, il sangue e le umiliazioni. La recitazione della Walker, lo sforzo in ogni suo movimento, la sua mimica trasmetto perfettamente tutta l’ansia e la sofferenza che il suo personaggio prova.
Trascurando però tale piccola caduta negli ultimi minuti, nell’insieme Gavin sa edificare in A Dark Song un tetro iter che si ammanta di sovrannaturale e che abilmente trasmette in chi guarda una sensazione di disagio ininterrotto, il cui apice è l’incontro, tra raziocinio e follia ambiguamente fuse, con il Male puro.
Di seguito il trailer internazionale: