Il regista di Ju-On torna sulle scene con un'opera che ha diversi buoni spunti, che vengono però sprecati per le troppe incongruenze nel tono e da un villain troppo cartoonesco
Little Nightmares (Kodomo Tsukai), conosciuto anche con il titolo Innocent Curse, vede il ritorno dietro alla macchina da prese del fantasioso, ma ultimamente poco concludente, Takashi Shimizu, che ancora una volta spreca un’idea pur interessante con una messa in scena un po’ troppo pasticciata.
Insieme di differenti suggestioni, al centro della narrazione vi è dunque una maledizione, la maledizione degli innocenti per l’appunto, che ricorda in parte quella legata alla cassetta di Ring (Ringu) di Hideo Nakata (tratto dall’omonimo romanzo), la cui visione portava a un inevitabile decesso dopo sette giorno; qui però il tempo è più limitato e a determinare la vittima non è il caso, ma proprio quei fanciulli indifesi e maltrattati, che lanciano contro la madri o padri degeneri il maleficio.
Dunque, visti i due riferimenti celebri piuttosto visibili, immediatamente si penserebbe a una pellicola densa di angoscia, in cui i vendicativi fantasmi nipponici si schierano in difesa dei più deboli, evocati proprio dall’afflizione di questi ultimi. Ebbene non è così, il tono con cui la vicenda è narrata è piuttosto variegato, incostante, e gli spunti tanti da risultare a un certo punto incoerenti, creando un insieme eccessivamente contorto e poliedrico. Anzitutto c’è il nucleo narrativo, la convenzionale corsa contro il tempo alla Ring per risalire alle origini della maledizione da parte del giovane reporter Shunya Ezaki (Daiki Arioka) e della fidanzata, la maestra Nahomi Harada (Mugi Kadowaki) che, per una serie di sfortunati eventi e per una sua mancanza verso un suo alunno sfortunato (Haruto Nakano), si trova ad essere oggetto dell’anatema. Secondo elemento diegetico rilevante diventa allora, descritta con un certo verismo, l’esperienza di coloro che in tenera età vengo vessati fisicamente e psicologicamente, con madri che prendono i figli per i capelli, li picchiano o che li chiudono in sgabuzzini bui. Se solo l’attenzione per tale oscuro vissuto infantile avesse dato vita a una storia dark, come Il labirinto del fauno in declinazione asiatica, sarebbe stato qualcosa di assai riuscito.
E’ vero, ci sono personaggi come Pennywise che riescono perfettamente a far coesistere il comico e il demoniaco, ma nella pellicola di Shimizu non è questo il caso anzi. In ultimo abbiamo una storia esageratamente dilatata che, man mano che il minutaggio sale e si scoprono i regressi misteriosi, diviene sempre più implausibile e abbozzata, fino alle radici del Male, che sono decisamente e involontariamente demenziali.
Un buon punto di partenza viene dunque sciupato lungo lo sviluppo dal regista che, probabilmente non avendo chiaro l’indirizzo da seguire, ha in Little Nightmares fuso troppi ingredienti senza badare troppo ad armonizzarli, conferendo al complesso una linea estetica comune.
Di seguito il trailer internazionale: