Julie Benz e Fionnula Flanagan si impegnano, ma la fantasia latita e riciclare i soliti stilemi paga sempre poco
Un numero infinito di segni rivelatori possono avvertirci di quando è il momento per trovarsi un nuovo appartamento. Scarafaggi. Un impianto idraulico corroso. Una foto d’epoca del noto serial killer H.H. Holmes appesa in portineria …
Jackie (Julie Benz) non riconosce l’uomo baffuto nel ritratto all’ingresso però. Anche se l’avesse fatto poi, questo non l’avrebbe certo scoraggiata dall’indagare su quello che è successo alla sua amica Danielle.
Fresca di riabilitazione a seguito di un terribile evento di cui lei stessa è responsabile, Jackie viene accolta come nuova inquilina dell’Havenhurst. Già spaventata dal destino della sua amica, il sospetto di Jackie che qualcosa non vada per il verso giusto all’interno delle grandiose mura gotiche è confermato dalle urla di una vicina di appartamento (Jennifer Blanc, in una comparsata ancora più rapida di quella della Harris). Mentre l’amico – e detective – Tim (Josh Stamberg) si prende il suo tempo per scavare un po’ meglio nei suoi timori, Jackie si avvicina a Sarah (Belle Shouse), una ragazzina la cui famiglia affidataria ha degli scheletri che infestano il suo armadio. Sarah conosce alcuni dei segreti dell’Havenhurst, e potrebbe possedere la chiave per svelarne il più grande, celato nelle sue viscere.
Anche un’attrice dalle buone doti e non nuova al genere come la Benz (ha esordito in Due Occhi Diabolici e partecipato a Saw V) non può fare molto per rendere il personaggio principale sufficientemente distinto dai soliti noti visti altre volte in situazioni affini. Jackie si mostra in genere avvilita e depressa, casualmente sbadata nel suo lavoro di cameriera in una tavola calda, oppure disinteressata o poco interessante.
La distanza tra la data delle riprese – avvenute nel 2014 – e l’uscita nel 2017, nella migliore delle ipotesi farebbe pensare a una finestra temporale mancata in cui Havenhurst appare ora più ridondante alla luce di opere simili – come The Boy ad esempio – che nel frattempo si sono fatte bene o male notare (o sono addirittura arrivate al cinema in Italia). Nella peggiore delle ipotesi invece, questo limbo pluriennale suggerirebbe che i distributori non fremevano certo troppo per mostrarlo agli spettatori.
A dirla tutta, non è facile dire quale delle due prevalga sull’altra, ma indipendentemente da ciò, non pare che gli uomini e le donne che l’hanno finanziato abbiano avuto una fiducia incrollabile nella probabilità di successo del film. Saggiamente, anche se ultimamente in giro si è visto di peggio sia chiaro. Misteri della distribuzione.
La rivelazione di ciò che sta realmente accadendo dentro l’Havenhurst assume un leggero senso soltanto sul momento e quasi nessuno in retrospettiva. Il poco che viene chiarito arriva per mezzo di una spiegazione sapientemente disposta all’interno di una collezione di ritagli di giornale comodamente a disposizione dell’eroina giusto in tempo per mettere insieme i pezzi del puzzle che molto probabilmente lo spettatore aveva già completato durante il primo atto.
Sì, questo è il tipo di suspense standardizzata che la pellicola può offrire. Abile e competente nel costruirsi con piccole pagine del manuale una dopo l’altra, ma stereotipata e prevedibile nel modo in cui è assemblata e resa.
Proprio come l’edificio del titolo, Havenhurst ha una facciata intrigante. Chiunque potrebbe esserne attirato nei corridoi da un cast di volti familiari e dalla confezione curata. Una vocina interiore bisognosa di maggior sostanza e spaventi, d’altra parte, non incentiva tuttavia a varcarne la soglia per capire cosa c’è davvero all’interno.
Di seguito il trailer originale di Havenhurst: