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Recensione + intervista | Davide Barzi ci parla del suo Don Camillo a fumetti

29/11/2017 news di Giovanni Mottola

Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con il curatore dell'adattamento disegnato delle storie di Guareschi, spaziando tra un passato radicato nella memoria e un presente filologico e rispettoso

Al contrario di quanto predicavano i latini con il motto “de mortuis nihil nisi bonum”, gli amici che Giovannino Guareschi non ebbe in vita non divennero tali nemmeno alla sua morte. In quell’occasione “L’Unità”, oggi defunta ma allora gazzetta ufficiale del potente Partito Comunista Italiano, titolò: “E’ morto lo scrittore che non era mai nato“. Non lo celebrò neanche la Democrazia Cristiana, alla cui vittoria elettorale del 1948 si riteneva che il suo lavoro avesse dato un notevole contributo. I rapporti erano pessimi da quando aveva pubblicato lettere in cui Alcide De Gasperi invitava gli alleati a bombardare l’Italia. Lettere che gli costarono oltre un anno di carcere: erano false e come tali puzzavano, ma l’indole nemica del compromesso, propria di chi non guarda in faccia nessuno, gli aveva impedito di sentirne l’odore. Al suo funerale era dunque presente solo qualche amico: nè PepponeDon Camillo furono avvistati. A ciò che l’uno e l’altro rappresentavano si sentì in fondo sempre estraneo e non era sua intenzione far di loro la metafora di un Paese affratellato anche quando fa mostra di litigare, come li hanno dipinti i film. I racconti pubblicati sul “Candido” costituivano invece la parte migliore di una battaglia politica che Guareschi combatteva con l’arma di un’ironia feroce e a volte anche cruda e che lo rese inviso a molti, quasi a tutti. Bisognava attendere un paio di generazioni perché, una volta diradatasi dalla sua figura la fuligine della polemica di cui fu destinatario, si presentasse con un fiore alla sua tomba qualcuno capace di apprezzare appieno il valore storico e artistico della sua opera e si desse daffare per riscoprirla.

Questo qualcuno è Davide Barzi, milanese classe 1972, scrittore e sceneggiatore specializzato in fumetti; il fiore è una serie di quattordici volumi (al momento) intitolata semplicemente “Don Camillo”. Barzi non è nuovo a cimentarsi con lavori che denotano curiosità per tempi che furono e personaggi che, per la loro grandezza, meritano di continuare ad essere: ha dedicato storie a Giorgio Gaber e Giacinto Facchetti e ha curato due mostre di disegni, realizzati dai più grandi fumettisti italiani, ispirati alle canzoni di Enzo Jannacci. Già per questo merita un applauso ma stavolta, con l’appoggio dell’editore ReNoir Comics e di una squadra di collaboratori e disegnatori, si è superato. Con scrupolo e impegno da vero filologo ha realizzato la versione a fumetti, rigorosamente in bianco e nero e presentati in ordine cronologico, di tutti i racconti sul prete e il sindaco di Brescello che Guareschi pubblicò sul Candido tra il 1946 e il 1968 e di alcuni altri tratti della raccolta “Mondo Piccolo“. Le sceneggiature della prima serie sono opera di Barzi, quelle della seconda di Silvia Lombardi e Alessandro Mainardi; i disegni sono affidati ad autori vari, tra cui Ennio Bufi e Elena PiantaSergio Gerasi, che hanno elaborato le fisionomie di Don Camillo e Peppone. A introdurre i volumi, un frontespizio riportante un piccolo autoritratto di Guareschi e una prefazione realizzata ogni volta da un personaggio diverso; a chiuderli, un’appendice preziosa per approfondire la biografia e l’opera di Guareschi e inserirle nel contesto storico e culturale. Da non perdere, poi, le pagine di presentazione di ciascuna delle storie, che le inquadrano dal punto di vista temporale e contengono rinvii dall’una all’altra utili a conoscere meglio personaggi e vicende.

Con questo lavoro Barzi sottrae al cinema la saga di Don Camillo per restituirla al suo creatore, che da quella rappresentazione si sentiva tradito. Le sue sceneggiature si scostano dalla versione edulcorata e pacifista dei testi di Guareschi, offerta dai pur splendidi film, per rievocarne l’anima sferzante e il significato politico. Se proprio si vuole leggerli in chiave metaforica, questa va riferita al desiderio del loro autore, un intellettuale schivo e fuori dal sistema, di starsene per i fatti suoi nell’unico luogo dove si sentiva a suo agio. Cioè a casa propria, in una Bassa dove le scazzottate non vengono ricomposte al tavolo delle trattative ma a quello imbandito di tagliatelle e lambrusco e dove non vi sono altri parroci e altri sindaci all’infuori dei Don Camillo e dei Peppone, gli unici ad andargli a genio. Tutto questo si coglie alla perfezione sfogliando le pagine di Barzi. Se avesse potuto farlo anche Guareschi, poco accomodante com’era, avrebbe di sicuro trovato qualcosa da contestargli, nascondendo però, sotto i baffi alla Stalin, un ghigno di lusingata felicità che avrebbe aperto al nuovo amico e ai suoi degni collaboratori la porta del suo Mondo Piccolo.

Di seguito la nostra intervista esclusiva a Barzi.

Innanzitutto, complimenti per l’iniziativa. Lei non è nuovo a ispirare il suo lavoro a personaggi celebri, come è capitato con Gaber o con Giacinto Facchetti. La sua passione per Guareschi e per le sue opere da dove nasce?

Adoro i personaggi che cominciano con la G: Giorgio, Giacinto, Giovannino …
Scherzi a parte, a dare senso allo scrivere sono anche le possibilità di far conoscere le proprie passioni o semplicemente di parlarne con chi già le condivide. Ognuna di queste tre opere mi ha permesso e dopo anni continua a permettermi di conoscere persone entusiaste. Invece di stare al bar a parlare sempre degli stessi temi con le stesse persone … lo faccio in biblioteche, librerie e fumetterie con persone diverse! Guareschi è parte di me in quanto narratore di una terra che ha dato origine ai mie avi, a me e a mia figlia: quella “pianura padana” così svilita dall’appropriazione indebita e di parte che ne è stata fatta e che invece è un paesaggio dell’anima per chi ci vive, magari nebbioso e controverso, ma non per questo meno caldo a suo modo. Umido ma unico. Forse la lontananza da questa “fettaccia di terra” non provoca la saudade e non esiste un corrispettivo del mal d’Africa in riva al Po, ma Guareschi è riuscito a catturare questo gusto di provincia e farne una location universale (non a caso, raccontando pochi chilometri quadrati, è diventato l’autore italiano più tradotto al mondo) (o, per non entrare in polemiche sterili, diciamo “quantomeno uno dei più tradotti”).

Come è stata coinvolta la famiglia Guareschi nel progetto?

Sono parte integrante dell’ideazione e della lavorazione, con un affiancamento costante senza mai essere intrusivi. Preziosi e insostituibili. Sono stati loro a fornirci lo mappa del “viaggio sentimentale” che ci ha permesso di ricostruire il Borgo per come pensato originariamente da Giovannino. Ma, al contempo, sono stati loro (e, dopo la scomparsa di Carlotta, è ancora oggi Alberto) ad assecondare ogni nostra idea originale rispetto al testo in prosa, capendo sempre che ogni modifica è fatta nel rispetto del materiale originale ma al contempo anche delle potenzialità del mezzo espressivo scelto. Alberto legge tutte le sceneggiature e fornisce un contributo unico nel recupero delle reference utili ai disegnatori per ricostruire alla perfezione il contesto storico-geografico in cui sono ambientati i racconti. E poi, per tornare alla questione “incontri”, si è instaurata una tradizione che nel mio calendario è segnata nello stesso colore delle feste comandate: la presentazione di ogni nuovo numero della collana alla Casa Museo Guareschi di Roncole Verdi.

Non dev’essere stato facile compiere un lavoro filologico straordinario come il vostro, spulciando archivi, raccogliendo testimonianze e ricostruendo non solo le storie ma tutto il contesto di Guareschi e del Candido

Non sempre facile, ma sempre esaltante. In un Paese con poca memoria, il lavoro che stiamo facendo di ricostruzione e “fissazione” di un momento storico cruciale per la storia italiana mi sembra abbastanza importante. Poi non voglio eccedere: stiamo facendo fumetti, non cardiochirurgia, ma comunque attraverso il divertimento della lettura stiamo anche lasciando una preziosa testimonianza d’epoca. Ritengo anche importante raccontare non solo il narrato guareschiano, ma attraverso di esso anche il narratore, togliendolo una volta per tutte dalle pastoie ideologizzate dell’epoca in cui “in diretta” venne giudicato un po’ frettolosamente e con “occhiali pregiudiziali”. È curioso che il lavoro di ricollocazione di Guareschi nella storia culturale del Novecento sia, perlomeno nella mia percezione, in qualche modo partito nel 1994 con la pubblicazione di “Don Camillo” come allegato del settimanale di Cuore (quindi area “l’Unità”), con i disegni di un giovane Gipi, e che oggi sia ancora il fumetto a proseguire idealmente questo percorso.

Da un punto di vista commerciale l’operazione era rischiosa: gli adulti potevano risultare disinteressati a un fumetto e i giovani a un soggetto come Don Camillo. A quale pubblico avevate in mente di rivolgervi?

Ci sono brand (Guareschi mi avrebbe spernacchiato per questo uso spericolato di inglesismi) che travalicano i concetti di spazio e tempo. Don Camillo viene tramandato di generazione in generazione come un bene prezioso, come fosse l’anello di matrimonio della bisnonna. O almeno questa era la valutazione iniziale, dopo di che eravamo anche coscienti della possibile “crisi di rigetto”: gli appassionati di Guareschi sono attenti e competenti, non avrebbero mai perdonato (giustamente, dico io) qualsiasi cosa che avessero percepito come leggerezza o tradimento. Dall’altra parte avevamo la folta schiera di amanti dei film, a cui con vaga incoscienza andavamo a proporre una serie che, volendo tornare ai racconti originali, spazzava via in un colpo solo una santissima trinità: Fernandel, Gino Cervi, Brescello. Eppure su entrambi i fronti è stata percepita con chiarezza la bontà dell’intenzione, lo scrupolo del lavoro, la cura maniacale e l’attaccamento al progetto di tutto lo staff. Non abbiamo “impacchettato un prodotto”, abbiamo preso ingredienti di primissima scelta e li abbiamo cucinati in una ricetta nuova ma che sa di antico. E, come in una trattoria dove ritrovi i sapori di un tempo, abbiamo sempre il locale pieno!

Il grande pubblico conosce Don Camillo grazie ai film, che raffigurano un paese litigioso ma in realtà affratellato. I vostri fumetti invece sembrano molto più in linea con lo spirito di Guareschi, che dai film si sentiva tradito, e la cosa vi fa molto onore. Come hanno reagito i lettori di fronte a un Don Camillo un po’ diverso da quello che si aspettano, meno bonario e più tagliente?

I lettori dei racconti originali, finalmente, l’hanno ritrovato, con tutte le asperità che ne hanno fatto una maschera popolare nazionale e internazionale e senza compromessi. I cinefili lo hanno scoperto nella sua scorrettezza politica, nella sua schiettezza provinciale, nella sua determinazione feroce ma anche nei suoi slanci e tentativi di conciliazione (alternati ai calci nel sedere, ovvio).

Gran parte del significato dei racconti si riferisce alla situazione politica dell’epoca, molto diversa da quella attuale. Il lettore giovane riesce a cogliere questo aspetto oppure il valore storico è destinato a perdersi?

Ogni racconto è preceduto da un breve articolo (nei primi anni da me, ora gestito con perizia da Maurizio Carnago) che serve a dare il contesto in cui si svolge e ad approfondire alcuni aspetti che al lettore, sessant’anni dopo la prima pubblicazione, possono risultare non immediati. Politica interna, eventi internazionali, personaggi noti nel dopoguerra ma oggi misconosciuti, eventi che Guareschi narrava “in cronaca”, di cui alcuni sono passati alla Storia con la S maiuscola mentre altri sono finiti nel dimenticatoio. Detto tutto questo, i racconti rimangono comunque godibili a un livello meno approfondito anche senza conoscere totalmente il retroterra, ma certo con la giusta preparazione si possono apprezzare un maggior numero di sfumature.

Quando si cominciò a pensare al primo film su Don Camillo molti registi si rifiutarono di realizzarlo perché non volevano mescolare il loro nome con quello di un conservatore come Guareschi. Trova che oggi ci sia ancora diffidenza verso di lui? A voi è capitato di trovare qualcuno contrario al progetto della serie per queste ragioni?

Sono passati sessant’anni e certo le cose sono cambiate. Per certi versi forse in peggio, perché la passione per la politica che si respirava all’epoca, e che io stesso ho avuto modo di respirare da bambini negli anni Settanta e nei primi Ottanta, è una modalità di appartenenza ormai datata. Quindi che Guareschi fosse inviso perché stava “dall’altra parte” era una stortura, ma che partiva da una passione di fondo che da un lato divideva ma dall’altro univa. Oggi, nell’epoca delle “passioni fredde”, le barricate ideologiche sono crollate con il muro di Berlino e si riesce un po’ di più a valutare gli autori per le loro opere e non per il loro schieramento. Don Camillo e Guareschi sono patrimonio comune, l’opposizione ex post l’abbiamo percepita davvero di rado.

Lei ha sceneggiato tutte le storie, mentre i disegni sono stati realizzati da autori diversi. Questo ha comportato differenze nel suo modo di lavorare?

Ho sceneggiato tutte le storie con don Camillo e Peppone, mentre ne esistono, sulle circa cento sinora adattate, una quindicina del Mondo Piccolo adattate da Silvia Lombardi o Alessandro Mainardi. In quel caso il “sapore” è spesso più drammatico e lirico, ognuno le ha affrontate con rispetto del testo ma con la propria sensibilità. Per quanto riguarda i disegnatori (nel corso degli anni ne sono ruotati quasi trenta e ne continuiamo a vedere e valutare di nuovi), quando possibile si cerca di valorizzare le loro inclinazione e il loro specifico: per esempio che il Corrierino delle famiglie abbia un racconto adattato dal nostro copertinista Ennio Bufi e gli altri da Federico Nardo è una precisa scelta stilistica che a mio modo di vedere ha dato dei risultati strabilianti in entrambi i casi. Poi ci sono alcune “virate” in stili narrativi diversi (abbiamo tavole in stile Tofano, in stile Warner Bros., in stile Guareschi) e sono spesso costruite anche pensando alle capacità dei disegnatori.

A proposito dei disegni: Guareschi era un eccellente vignettista e disegnatore, come si può vedere dal piccolo autoritratto che simpaticamente avete collocato sul frontespizio di ogni numero. Nel disegnare queste storie vi siete posti il problema su come lo avrebbe fatto lui stesso?

Non esplicitamente, ma di sicuro nella primissima fase di ideazione del mood grafico della collana abbiamo guardato a tutto ciò che di disegnato già esisteva, quindi, in filigrana, probabilmente si può vedere Guareschi (quando ci sono illustrazioni di Giovannino per racconti specifici comunque le teniamo sott’occhio come documentazione), ma anche Karel Thole, che ha realizzato copertine potentissime, per quanto lontane da quel che potete trovare nei nostri libri. Ma un po’ dell’imponente fisicità del prete di Thole è finita tra le nostre vignette.

Le fisionomie di Don Camillo e Peppone non s’ispirano a quelle dei due attori che li hanno interpretati. Come nascono? Il vostro Peppone sembra il ritratto di Guareschi. Vi siete ispirati al fatto che il regista Julien Duvivier volesse inizialmente affidare proprio a lui la parte del sindaco, salvo desistere una volta accortosi che non era proprio adatto a recitare?

Marzullianamente, hai fatto la domanda e hai correttamente già intuito la risposta! Non sembra, è esplicitamente Guareschi (con somma gioia dei disegnatori che possono trovare numerosi riferimenti per capire come muovere il personaggio in pagina)! L’altro assunto “filosofico” di base da cui siamo partiti per le fisionomie è che Guareschi considerava i due personaggi come due parti della propria anima. Anche don Camillo, quindi, pur non essendo il richiamo così esplicito, ha un che di guareschiano, ma del Guareschi più giovane e senza baffi, poi rielaborato e “canonizzato” dai quattro disegnatori che hanno dato il via alla collana, Elena Pianta, Ennio Bufi, Sergio Gerasi e Werner Maresta.

La vostra serie è arrivata fino in Germania. Dato che i film hanno avuto successo in tutto il mondo e i personaggi sono molto conosciuti, avete in programma di esportarla anche in altri paesi?

Al momento in Germania è da poco uscito il terzo volume, mentre i primi due sono stati pubblicati anche in Francia e in Corea del sud. I film hanno avuto e hanno tuttora una diffusione capillare, ma in realtà anche i racconti di Guareschi ne fanno come uno degli autori italiani più tradotti, quindi potenzialmente chissà…

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