Asa Butterfield e Britt Robertson sono i validi protagonisti di un film fanta-romantico gravato da una sceneggiatura e una regia scellerate
Asa Butterfield e Britt Robertson sono i due giovani innamorati interstellari protagonisti di Lo Spazio Che Ci Unisce (The Space Between Us), film appena messo a catalogo da Netflix che rientra nel filone della fantascienza romantica e che, sorprendentemente, non si basa su un romanzo di successo, ma su una sceneggiatura originale. Tuttavia, nel momento in cui ci si rende conto che dietro allo script c’è la mano di Allan Loeb, già autore del disastroso Collateral Beauty lo scorso anno, le antenne dello spettatore dovrebbero drizzarsi sull’attenti.
Il suo unico contatto con la Terra avviene attraverso una serie di dialoghi via Facetime con Tulsa (Robertson), una studentessa che vive con una famiglia affidataria in Colorado. Arrivato infine sul Pianeta azzurro, Gardner sfugge agilmente ai suoi guardiani per incontrare Tulsa.
Insieme, i due viaggiano per tutta l’America per indagare su cosa sia accaduto al padre sconosciuto del marziano, basandosi soltanto su un anello di nozze e una fotografia sbiadita. Tuttavia, visto che l’atmosfera terrestre non è esattamente benevola con Gardner, Nathaniel e i suoi colleghi devono correre contro il tempo per recuperarlo, prima che gli effetti deleteri della sua fisiologia aliena lo mettano davvero in pericolo.
Non mancano i motivi di confronto con il sottovalutato e mai troppo menzionato Starman di John Carpenter, ma i produttori che da qualche tempo stanno cercando di realizzare un remake del film del 1984 non devono preoccuparsi troppo di questa particolare versione, gravata da tono ed emozioni piuttosto fredde, con il regista Peter Chelsom (Hannah Montana: The Movie) che rovina l’interessante premessa con una regia tanto sconsiderata da sembrare un boicottaggio deliberato (e i risultati al botteghino lo hanno cofermato …).
In particolare, a colpire negativamente è soprattutto Oldman (ispirato a Richard Branson o Elon Musk), sempre in overacting e insicuro sulla strada da prendere per la caratterizzazione del suo personaggio, non aiutato certo da una sceneggiatura che diverge da quella di altre pellicole simili, in cui l’antagonista ha almeno apparentemente una preoccupazione genuina per la sua creatura/cavia che si è data alla macchia.
Invece, questa rivelazione esce fuori attraverso un intenso scambio verbale tra Nathaniel e Kendra, due scienziati che già ne sono bene a conoscenza e apparentemente ne parlano a voce alta solo per renderlo noto anche al pubblico. Almeno LSCCU offre una vetrina decente ai suoi due giovani interpreti. Butterfield garantisce una performance all’altezza di quella di altri memorabili visitatori del grande schermo del passato, primo fra tutti il Jeff Bridges di Starman, ma ci sono sfumature anche dello Spock di Leonard Nimoy e del Thomas Jerome Newton di David Bowie, e la sua figura alta e dinoccolata ha un’estetica piacevolmente aliena. Curiosamente – e inspiegabilmente – lo script gli dà come unici riferimenti per capire e studiare la vita sociale sulla Terra alcuni vecchi film didattici piuttosto che i numerosi adulti che vivono con lui nella base East Texas …
Un altro problema evidente è che Tulsa inizialmente sembra più vicina alla Megan Fox di Transformers, tutta pepe e faccine corrucciate, sebbene la Robertson riesca ad elevarsi, costruendo un personaggio che simpatizza con il desiderio di Gardner di lasciare il suo pianeta, pur non comprendendo perché dovrebbe voler venire sul nostro, che lei odia. Come già anticipato da Tomorrowland e La risposta è nelle stelle, l’attrice ventisettenne è solo in attesa del grande salto che riesca a valorizzarne le doti, palesi.
Questo potrebbe essere il motivo principale per cui i due non sono assolutamente convincenti come coppia, pur restando comunque abbastanza efficaci se presi individualmente in un film che altrimenti sarebbe assolutamente privo di spunti salienti.
Dove Starman utilizzava una struttura sci-fi per tirar fuori il lato drammatico dalla chimica tra Bridges e Karen Allen, LSCCU inizia in modo stiracchiato e si evolve in quella che in è nient’altro che una corsa in macchina on the road, dissipando anche la vena scientifica che aveva costruito nei primi minuti. Anche la colonna sonora di sintetizzatori e archi occasionalmente intrigante creata dal compositore Andrew Lockington resta alla fine schiacciata dalla rumorosa e pressante musica pop progettata esclusivamente per puntare al successivo battito emotivo sulla cartina.
In definitiva, lo spazio del titolo è la distanza scavata tra l’interessante preambolo e il suo non particolarmente interessante sviluppo, rendendolo un’occasione persa, specie per lo spreco di talento dei due attori principali. Non è indecente quanto Collateral Beauty, ciononostante, anche per questo particolare tentativo di fare colpo sull’avido pubblico young adult, la colpa non sta nelle stelle, ma nella sceneggiatura.
Di seguito il trailer di Lo Spazio Che Ci Unisce: