La visionaria pietra miliare del cinema australiano del 1975 ci proietta in una natura sublime e spaventosa, scenario di un insolubile mistero
Dopo il folle e grottesco Le macchine che distrussero Parigi (The Cars That Ate Paris), nel 1975 il visionario Peter Weir confezionò un altrettanto surreale film, Picnic ad Hanging Rock (Picnic at Hanging Rock), tratto piuttosto liberamente dal romanzo omonimo della scrittrice australiana Joan Lindsay pubblicato nel 1967. Dramma dai risvolti thriller e misteriosi, costituisce uno dei più noti e significativi esempi di cinema anni ’70 australiano, nonché uno dei primissimi a permettere di conoscere fuori dal continente la produzione autoctona e perciò particolarmente rilevante.
Mentre le altre cadono tutte misteriosamente in un sonno profondo, le tre avventurose fanciulle si inerpicano e d’un tratto speriscono nel nulla; solo l’impacciata Edith, che le seguiva a una certa distanza, torna indietro urlando e in preda al terrore. Oltre alle giovani si perdono le tracce anche di un’insegnante, Greta McCraw (Vivean Gray).
Trascorrono i giorni e delle disperse non v’è traccia, tanto che ormai si abbandonano le speranze. Unico a insistere è Michael Fitzhubert (Dominic Guard) che, dopo aver scorto a distanza Miranda e le compagne, è ossessionato dalla bellezza di lei e scortato dal servitore Albert (John Jarrett) torna tra quelle montagne per proseguire da solo le ricerche. E’ proprio in tale frangente che i due s’imbattono in Irma, che a parte qualche lieve graffio pare in ottima salute e viene soccorsa. Il mistero così s’infittisce ulteriormente, lasciando le collegiali, la severa istitutrice Mrs. Appleyard (Rachel Roberts) e gli altri membri del corpo docenti, profondamente scossi.
Non si tratta però di un fatto di cronaca, ma solo di finzione letteraria, sebbene la scrittrice poco abbia fatto per smentire le voci che sostenevano il contrario. Anni dopo, però, l’autrice stessa ha raccontato che l’idea per il libro gli venne da un sogno molto vivido, dopo il quale ne iniziò la sua stesura e lo portò a compimento in un paio di settimane.
Non è un percorso logico, razionale, che viene portato sullo schermo, ma onirico e in molte parti oscuro, fatto di segnali e presagi. L’epicentro, il contrasto tra la natura e la civiltà è espresso allora in un percorso simbolico, in cui le protagoniste assumono loro stesse quasi i contorni di creature ultraterrene, di ninfe o angeli, Miranda è addirittura definita da Mlle. de Poitiers (Helen Morse), un “angelo del Botticelli”.
Allo stesso modo i luoghi circostanti si fanno irreali, trascendenti, meravigliosi e agghiaccianti, le pareti rocciose paiono attirare al loro interno le fanciulle per poi fagocitarle. La sequenza della scomparsa delle ragazze, d’altra parte, è catturata dall’occhio della macchina da presa in maniera alienante, i movimenti di macchina labirintici, la messa a fuoco e la fotografia stranianti sembrano proiettarci in uno stato di tranche bacchico, in cui un gruppo di adepte si votano a una entità panica e antica, quella che soggiace nella montagna stessa, sublimando. L’arcano lascia pietrificati coloro che rimangono, terrorizzati dalla sturmeriana incombenza naturale, contro cui l’uomo, piccolo e misero, nulla può se non sentirsi impotente.
I dialoghi, allo stesso tempo, sono lirici, altamente evocativi, ma nulla spiegano, frasi sibilline che lasciano lo spettatore ancora più stranito e confuso, gli trasmettono tutta l’inquietudine di cui sono intrisi la storia e i luoghi in cui è ambientata.
L’idea romantica di natura selvaggia assume quindi connotati mostruosi e affascinanti, quando inquadrata dal basso, la Hanging Rock (le riprese sono realizzate proprio nel promontorio del titolo, oltre che a a Martindale Hall, nell’Australia Meridionale, per le scene nel collegio) sembra ancora più imponente e i suoi contorni sfarfallano alla luce del sole, concrezione geologica che combina tratti naturali e ultraterreni. D’altronde, la sospensione tra realtà e sovrannaturale caratterizza il film per intero e il finale, marcatamente ambiguo, rafforza in chi guarda il senso di smarrimento profondo.
Non sarà in questa sede specificata la suggestiva soluzione del mistero, che rimanda a una antica dimensione alternativa, ma la lettura del diciottesimo capitolo mancante non aggiunge nulla di particolarmente esaltante all’insieme e, anzi, la sua assenza è forse più auspicabile …
Pietra miliare della cinematografia australiana che sa tradurre per immagini un testo ermetico e affascinante, Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir risce quindi a cristallizzare in una successione di fotogrammi la disarmante bellezza della natura australiana e il suo insoluto e primitivo enigma, che si staglia contro la soffocante civilizzazione.
Di seguito trovate il trailer ufficiale: