Rebecca Forsythe è la tormentata protagonista di una riflessione sulla paura dell'invecchiamento e su cosa si è disposti a fare per impedirlo declinata in un horror che guarda ad Argento e Cronenberg
Kira Mabon (Rebecca Forsythe) vive la sua vita al massimo. È giovane, bella, felice. Fino a quando una mattina scopre delle pelle secca sul dorso della sua mano. Terrorizzata dal decadimento del suo corpo, Kira cerca quindi disperatamente una cura. Il morbo continua però a diffondersi e nessuno sembra essere in grado di aiutarla. Devastata, la ragazza trova un certo conforto nella sua vicina, l’estremamente sensuale Sophia (Lucie Aron). Attratta dalla sua attitudine frizzante e pratica, inizia a innamorarsi di Sophia e della sua pelle perfetta e senza difetti. Mentre la malattia progredisce, le opzioni di Kira iniziano tuttavia a esaurirsi, ma una scoperta terrificante cambia le carte in tavola: è in grado di rimpiazzare la propria pelle secca con quella in salute di qualcun altro. Kira sembra così aver trovato un modo per rimanere giovane e bella: sostituire la sua pelle … sacrificando delle vite innocenti. Ma il male continua a diffondersi e il rischio di essere scoperta dalla polizia o dalla sua nuova amica Sophia sta diventando sempre più grande. Kira deve scegliere. Continuare a prendere la pelle di altre ragazze, o affrontare l’inevitabile deterioramento del suo corpo.
La Forsythe ricorda in più di una occasione Deborah Ann Woll nel modo in cui simultaneamente incarna la fierezza appassionata e l’innocente vulnerabilità. Questi due aspetti della sua personalità così diversi sono essenziali per disegnare Kira come un personaggio che possa sia suscitare simpatia come vittima sfortunata che ostilità come potenziale assassina guidata dalla vanità. L’atmosfera da sogno indotta dalle scelte visive a cui si è alluso in apertura è tuttavia danneggiata da una durata che sfiora i 100 minuti. Il velo di ambiguità covata sotto la cenere funziona per la maggior parte del tempo, anche se nel terzo atto irrompe l’eccessiva lentezza, quando il conto per la soglia di attenzione si fa più salato. Diverse scene non necessarie (come la visita a un medico e la successiva ricerca di altre persone nelle sue condizioni) hanno il solo effetto di aggiungere ben poca sostanza a scapito della fluidità della narrazione principale e anche quando arriva il dettagliato spiegone che risponde a tutte le domande rimaste in sospeso, restano ancora altri 20 minuti prima del fade to black. Intendiamoci, Replace non è troppo lungo, soltanto mette sul fuoco più carne di quella richiesta.
Replace rimane un oggetto affascinante, un bigino sulla paura della vecchiaia, del decadimento del proprio corpo e dell’inevitabilità della morte, declinate in salsa orrorifica (se già non bastasse il semplice pensiero …). La protagonista deve piegare le regole e persino infrangerle e capire quanta della sua moralità è disposta a sacrificare per essere giovane e bella per sempre. E anche così, potrà comunque ritenersi soddisfatta? Keil si/ci domanda se sia la società in cui viviamo a imporre una perfetta immagine di noi stessi su noi stessi oppure se quella stessa immagine sia qualcosa che già esiste all’interno della nostra testa. Una riflessione preziosa la cui risposta è lasciata sostanzialmente allo spettatore.
Di seguito il trailer originale di Replace: