Horror & Thriller

Recensione Sitges 51 | The Dark di Justin P. Lange

L'horror di debutto del regista americano riesce a esplorare con inedito e amaro lirismo il rapporto tra 'diversi' di una ghoul e un ragazzo vittima di rapimento

A volte il cinema horror, soprattutto se si parla di produzioni indipendenti, tende a concentrarsi su molto più del mero spavento sonoro, privilegiando piuttosto l’esplorazione delle declinazioni meno convenzionali di oscuri universi fantastici. E’ il caso dell’intimistico quanto tetro The Dark, primo lungometraggio scritto e diretto da Justin P. Lange (che ha ‘allungato’ l’omonimo corto da lui girato nel 2013), in cui viene rivelato pian piano il lato umano di una creatura infernale, dopo l’incontro con un ragazzino cieco appena rapito da un losco individuo.

Una macchina attraversa solitarie strade americane costeggiate dagli alberi. Un uomo (l’austriaco Karl Markovics), palesemente nervoso per qualcosa, entra in un negozio di beni di prima necessità adiacente a una pompa di benzina, acquista di fretta dei cereali e altri cose da mangiare, poi si rivolge all’individuo in cassa per pagare e chiede una mappa dei dintorni. Il suo interlocutore gli domanda se sia anche lui intenzionato a visitare il Devil’s Den, luogo dalla fosca nomea poiché molti dei visitatori che vi sono andati non hanno mai più fatto ritorno. Poi, sullo sfondo, il telegiornale parla di un pericoloso rapitore: è proprio il nuovo arrivato, che d’improvviso gli spara, poi imbocca la porta e fugge sgommando, verso la zona maledetta. Qui, s’imbatte in una casa fatiscente, abitata da un’entità famelica e ferina che lo aggredisce …

Sembra il preambolo del solito horror ambientato in lidi desolati, in cui vivono violenti e sanguinari abitanti e dove si perde uno sventurato visitatore, un po’ alla Wrong Turn per intenderci. Nulla di più sbagliato. L’apertura di The Dark può certo trarre in inganno, ma non siamo di fronte al solito slasher. Dopo pochi minuti difatti il film prende una svolta assai più profonda e drammatica e, combinando scene girate nel presente a flashback delinea l’amara storia di quello che non è affatto un mostro, un ghoul, o uno zombi, ma una ragazzina scomparsa anni prima e tornato dall’Oltretomba in cerca di vendetta. Si tratta di Mina (Nadia Alexander), adolescente dalle mani gelide e dalle dita violastre, vittima divenuta carnefice che si imbatte in Alex (Toby Nichols) e che grazie a lui ritrova pian piano la sua umanità. Viene così tratteggiato un ritratto straziante, quello della protagonista vittima, deturpata nella carne e nello spirito, che diviene alla fine carnefice, dopo essersi trasformata nel profondo dal dolore e dalla rabbia. Lancinante è l’immagine in primo piano di una lacrima che le cade mentre aspetta la morte, del tutto sola e tremante. Poi, però, s’imbatte per caso in un altro animo sofferente, un giovane a cui sono stati cavati gli occhi, terrorizzato e incapace di difendersi, tanto spaventato da aver sviluppato una contorta dipendenza verso il suo aguzzino, una sorta di sindrome di Stoccolma. Così, per la prima volta, Mina trova inaspettatamente un amico, qualcuno simile a lei, e la comprensione con cui lui la tratta suscita in lei un calore emotivo sopito da tempo.

L’interiorità dei personaggi è supportata anzitutto da dialoghi curati e tutt’altro che banali, frutto della sceneggiatura sempre ad opera di Justin P. Lange, ma soprattutto dell’ottima interpretazione di Nadia Alexander e Toby Nichols, ambedue capaci di incarnare i due complessi protagonisti e di dar vita a un’ampia gamma di sfumature del sentire: dall’odio alla violenza, dalla sofferenza alla paura, dalla percezione di solitudine fino a una delicata intimità e complicità, che sottende un’ottima chimica attoriale tra i due. Non solo, la dilatazione dei tempi narrativi e la struttura a incastro, con un continuo avvicendarsi di passato (con una madre alcolizzata e un patrigno violento) e presente, riesce a tracciare con sensibilità unica lo sviluppo interiore di Mina, a delinearne le sue motivazioni profonde e a suscitare nello spettatore un connubio di tensione e un crescendo di empatia. In ultimo, se centrale è indubbiamente la componente lirica, ciò non toglie che ci siano diverse sequenze e immagini piuttosto crude, decisamente horror. Ormai tramutata in una creatura ferina, la forza fisica e la veemenza dell’adolescente sono impressionanti mentre attacca la sua sfortunata preda di turno e gli salta addosso strappandogli la giugulare o la insegue per la casa brandendo un’arma con intenti tutt’altro che amichevoli. Altrettanto violenti sono poi gli assalti ai soccorritori o alle forze dell’ordine accorse in cerca del ragazzino scomparso. In generale, benché circoscritti e usati con giudizio, non mancano sangue, interiora, pugnalate e antropofagia; non solo, tutti gli aspetti gore sono ripresi con la medesima attenzione riservata al rapporto tra i due Mina e Alex.

Horror stratificato e coinvolgente, The Dark in definitiva non batte dunque i soliti sentieri dello spavento facile, ma al contempo non si lascia prendere da eccessi patetici e smielati, raggiungendo un eccellente equilibrio tra suspense e dramma e costituendo un notevole debutto alla regia per Justin P. Lange.

Di seguito trovate il trailer originale:

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Published by
Sabrina Crivelli