Horror & Thriller

Recensione story | Cannibal Love – Mangiata Viva di Claire Denis

Ripercorriamo lo scioccante film del 2001 della regista francese con protagonista Vincent Gallo, in cui sesso e cannibalismo si compenetrano indissolubilmente

Poetessa ermetica della carne e del sangue, la francese Claire Denis è una regista estrema, anti-narrativa, che racconta l’amore e l’esistenza come un viaggio in una mente deviata, più che come una successione ordinata di immagini ed eventi. Il suo cinema è quindi emotivo, sadico, poeticamente osceno, e Cannibal Love – Mangiata viva (Trouble Every Day) del 2001 ne rappresenta indubbiamente l’apice – o forse meglio il baratro – più sublime. L’horror drama (sempre che si possa chiamare tale) nasce sin da principio come un progetto orgogliosamente autoriale, trasgressivo, pensato dalla sua autrice sin da principio per il protagonista Vincent Gallo.

Difatti, Claire Denis conosce l’attore (allora ignoto al grande pubblico) a New York e subito ne rimane impressionata, tanto da volerlo nel 1991 nel cortometraggio Keep It for Yourself. La regista è ancora negli USA, quando la casa di produzione indipendente Good Machine le propone di prendere parte a una serie di 6 pellicole del terrore, occasione in cui scrive appunto la prima bozza di Cannibal Love – Mangiata viva. Tuttavia, decide alla fine di tirarsi indietro, probabilmente per divergenze artistiche (a dividere è soprattutto l’approccio ironico disincantato che la Good Machine auspica per l’horror). Dunque trascorrono parecchi anni, siamo già sul fare del terzo millennio e, tornata in Francia, la regista trova finalmente terreno fertile per il suo progetto, che intanto aveva accantonato.

A fornire le giuste premesse è l’avvento della New French Extremity e della sua magnificazione estetica del body horror, inaugurato da film come Seul contre tous (1998) di Gaspar Noé, Amanti criminali (Les amants criminels, 1999) di François Ozon, L’umanità (Humanité, 1999) di Bruno Dumont e Baise-moi – Scopami (2000) di Virginie Despentes and Coralie Trinh Thi.

‘Horror’ quindi decisamente non convenzionale, l’orrore non è costruito attraverso la narrazione o attraverso la creazione di tensione; è un orrore più concreto, fisico e visivo, scioccando così  lo spettatore con la forza immediata delle immagini; eppure, allo stesso tempo è una peregrinazione mentale in lidi oscuri della psiche, lo sviluppo fortemente anti-diegetico. La trama diviene così solo spunto per mettere in scena un’ossessioni e fobie, metafore dell’essere fondate su archetipi antropologici. La storia (se realmente si può definire tale l’essenziale nucleo narrativo essenziale che sorregge il susseguirsi di fatti enigmatici) si apre con due novelli sposi americani, il dottor Shane Brown (Gallo) e la moglie June (Tricia Vessey), in viaggio di nozze a a Parigi.

Tuttavia, la meta non è decisa dal marito solo per il romanticismo che la connota; quivi abiterebbe infatti un ex collega, il ricercatore Leo Semeneau (Alex Descas), con cui portava avanti dei misteriosi studi sul cervello umano in Guyana. Quest’ultimo è scomparso dopo essere stato bandito dalla comunità scientifica per gli esperimenti condotti, che hanno coinvolto tra gli altri anche la moglie Coré Semeneau (Béatrice Dalle), nonché Shane stesso. Le due cavie, da allora, sono perseguitate da una incurabile devianza che li porta all’impossibilità di congiungersi intimamente col prossimo (proprio per questo l’uomo non può consumare il matrimonio con la novella sposa).

Amore e morte, dittico d’opposti che connotava la tragedia classica, diviene l’epicentro di Cannibal Love – Mangiata viva, in cui l’apice del piacere non può in alcun modo essere scisso dall’antropofagia. Binomio estremo, molte sono le suggestioni possibili, dall’esempio rappresentato a partire da Il bacio della pantera (Cat People,1942) di Jacques Tourneur, dove l’amplesso era vincolato a una trasformazione ferina, che a sua volta portava a una irresistibile sete di sangue.

Simile è quindi la maledizione che porta a uccidere l’amante, metafora della pulsione amorosa di daliniane memorie (ricordate l’ossessione del pittore Salvador Dalí per il rito d’accoppiamento della mantide religiosa, che poi divorava il compagno una volta terminato l’atto?). Nel film di Claire Denis, però, non c’è alcuna manifesta mutazione fisica, il tutto avviene solo nella sfera interiore, psichica di chi è affetto dal Male: il mostro è nell’inconscio stesso del soggetto e ne prende infine il dominio trasformandolo profondamente e al contempo lasciandolo il medesimo.

Il fulcro di Cannibal Love – Mangiata viva sono allora sesso e cannibalismo, istinti primari uniti da un esperimento che mirava a innalzare la libido, ma che ha annullato ogni forma di controllo. Ne desumiamo gli effetti, più che capirne le cause, mentre seguiamo i rapporti cruenti di Coré, che colta da un irrefrenabile furor amoroso, predatrice instancabile, trova più volte il modo di trovare uno sventurato compagno. Inizialmente erotico, lo stimolo si fa poi omicida nella casa in cui è murata viva dal marito, che cerca disperatamente una cura. Proprio tra le mura domestiche, la vediamo che prima seduce, poi divora letteralmente un giovane in una sequenza che insieme affascina e turba profondamente.

Seguiamo sconvolti la donna che non solo ne strappa le carni dal collo, ma ricoperta di sangue dipinge le pareti di casa in una macabra pittura muraria. Ogni dettaglio, anche il più torbido viene mostrato con morbosa meticolosità, in un estremismo assimilabile al Goya di Saturno che divora i suoi figli. A completare il surreale accoppiamento sono le note ipnotiche della colonna sonora dei Tindersticks.

All’opposto di lei, Shane resiste inizialmente all’istinto primordiale, ma ciò gli impedisce anche di avere un qualsiasi rapporto carnale con la moglie; fatto che causa in lei ovviamente una buona dose di frustrazione. Anche lui, però, non può che soccombere in ultimo alla pulsione. Cannibal Love è incentrato su un crescendo costruito con calma, in cui le due scene di sesso cannibalico, momento pregnante di uno sviluppo altrimenti senza significato, preparano e anticipano un epilogo già segnato dal principio.

Si giunge in tal maniera all’assalto ultimo che si consuma nello spogliatoio dell’hotel, frutto di consuete dinamiche dell’attrazione (gli sguardi lanciati alla cameriera mentre rifà la stanza ad esempio) che risultano però in estrema carnalità che scava – a morsi – sotto l’epidermide. La sequenza è ambigua, approccio tra passione e orrore, non ne capiamo la reale essenza sinché non c’è svelato il motivo della cieca paura negli occhi della preda e scopriamo quanto un bacio può essere letale, sanguinario… Infine, quasi tutto il resto fosse sublimato in un istante soddisfatta la fame, ogni cosa torna a un’apparente e banale normalità in una paradossale chiusura aperta.

Di seguito trovate il trailer internazionale di Cannibal Love – Mangiata viva:

Share
Published by
Sabrina Crivelli