I due registi argentini dirigono il loro personale omaggio a Non Aprite Quella Porta, condendo le truculenze con una critica all'oscurantismo messo in atto dal governo locale sulla tragedia del villaggio di Epecuén
Terzo lungometraggio dei fratelli Onetti, gli argentini Luciano e Nicolás, What the Waters Left Behind (Los Olvidados) è sostanzialmente uno slasher che parte da una premessa assai intrigante: un gruppo di ragazzi che si ritrovano loro malgrado braccati da una famiglia di maniaci cannibali mentre stanno cercando di girare un documentario su Epecuén, località turistica un tempo molto frequentata, che nel 1985, per una incredibile fatalità, finì sommersa completamente dalle acque della vicina laguna, nota per l’inusuale livello di salinità, costringendo alla precipitosa fuga centinaia di persone, che mai poterono in seguito ritornare alle loro case.
Anzitutto, lungo la strada, s’imbattono in una stazione di servizio vicino alla destinazione, dove incontrano una strana e inquietante famiglia del luogo con cui non entrano decisamente in sintonia. Mentre si dirigono poi verso il cimitero, dopo aver girato alcune scene tra gli edifici principali, scoprono che qualcuno ha tagliato il tubo della benzina del furgoncino e fanno la conoscenza di un misterioso e all’apparenza poco rassicurante uomo che si offre di portare uno di loro al paese più vicino per trovare un carro attrezzi. Da lì, tutti quanti finiscono nel mirino di un gruppo di manici assassini, che hanno intenzioni non proprio simpatiche.
Nella seconda metà, What the Waters Left Behind sprofonda lo spettatore in una sequela di torture, omicidi, smembramenti, schizzi di sangue e gore, una violenza scatenata dalla follia causata dall’odio verso Buenos Aires – simbolo del Governo centrale – che ha/avrebbe permesso la tragedia di Epecuén, che ora si incanala verso il nuovo turismo che giunge sul posto a contemplare le rovine e scattare selfie senza spendere però denaro, finendo per non aiutare i sopravvissuti a rimettersi in piedi e anzi lasciandoli letteralmente nel fango a morire.
Grazie all’ottima direzione artistica di Sebastian Del Prado e alla straordinaria fotografia di Facundo Nuble, le immagini prendono vita attraverso panoramiche e angoscianti primi piani del desolante deserto che incombe sui personaggi. Particolare attenzione viene riservata dagli Onetti al macabro mattatoio di Villa Epecuén, opera architettonica futuristica, esempio dello stile iconico del noto architetto Francisco Salamone, costruita come parte di un piano di modernizzazione per diverse località della provincia di Buenos Aires durante gli anni trenta. Il film vanta anche una colonna sonora coerente con quello che compare sullo schermo e un cast che si comporta generalmente tutto sommato bene, su tutti Mirta Busnelli, Gustavo Garzón, Agustin Pardella e Germán Baudino, vittime e carnefici di questa storia dell’orrore.
Con l’idea di creare un film horror per un vasto pubblico, gli Onetti ricorrono allora a diverse risorse, effetti speciali e immagini che si traducono in un’opera di grande carattere, di eccellente qualità in tutte le aree tecniche ma troppo derivativa e prevedibile nella sua narrazione. Gli influssi / omaggi diretti a classici come Non Aprite Quella Porta e Le Colline Hanno gli Occhi sono evidenti e dichiarati, con la violenza in gran parte fisica (e in un caso di natura sessuale) più che psicologica, anche se i momenti più sanguinari vengono tenuti quasi tutti lontani dagli occhi del pubblico, costretto così a riempire gli spazi vuoti attraverso l’immaginazione. Un altro problema della pellicola è che i registi affrettano un po’ troppo il precipitare della situazione, senza temporeggiare per far montare adeguatamente la tensione.
In ogni caso, What the Waters Left Behind, pur non sedendosi al fianco dei migliori, si attesta complessivamente su livelli che almeno dovrebbero soddisfare i segugi dello slasher truce e delle famiglie di psicopatici non prettamente americane.
Di seguito il trailer originale: