Cerchiamo di capire perché la scelta di Joe Pantoliano di tradire i compagni ribelli e tornare a una vita di agi in una rassicurante 'finzione' non è stata così deplorevole in fondo
Vede, io so che questa bistecca non esiste. So che quando la infilerò in bocca Matrix suggerirà al mio cervello che è succosa e deliziosa. Dopo nove anni sa che cosa ho capito? Che l’ignoranza è un bene.
Cypher (Joe Pantoliano) è senza dubbio una delle figure più negative in Matrix (The Matrix), primo capitolo della saga sci-fi uscita nel 1999 e diretto dai fratelli Wachowski. Inizialmente schierato al fianco di un gruppo di stoici combattenti, tra cui Morpheus (Laurence Fishburne), Trinity (Carrie-Anne Moss) e il nuovo arrivato Neo (Keanu Reeves), passa poi al ‘lato oscuro’ e vende i suoi compagni all’algido agente Smith (Hugo Weaving), rivelandogli il modo in cui sorprenderli e sconfiggerli.
Sono trascorsi vent’anni da quando il cult dei fratelli Wachowski è approdato nei cinema, rimanendo impresso nell’immaginario collettivo, potrebbe essere necessario rinfrescarvi comunque la memoria.
Un giorno, per caso, s’imbatte in qualcosa chiamato Matrix e incontra un misterioso individuo vestito di pelle e chiamato Morpheus, che gli rivela come lui abbia vissuto – come pure tutti gli altri esseri umani – in una simulazione digitale del 1999 e che tutto ciò che vede e che prova è in realtà virtuale, costruito. In verità, sono infatti già nel XXI secolo, le macchine hanno schiavizzato l’intera umanità e l’hanno tramutata in una serie infinita di batterie dormienti. Matrix è quindi un programma che con la sua illusione di realtà tiene occupati tutti, evitando così possibili ribellioni.
Dovrai scoprire con i tuoi occhi che cos’è. È la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del Bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.
Non è affatto una decisione facile da prendere, soprattutto di fretta e inseguito da un gruppo di misteriosi uomini armati che lo vogliono morto. Per fortuna, la curiosità di Neo ha la meglio e così il protagonista ingerisce la pillola rossa … altrimenti sarebbe stato un film assai più breve! Comunque sia, probabilmente, una parte di lui in più di un’occasione ha rimpianto la pillola blu, optando per una beata ignoranza e non per una terrificante verità. E certo il risveglio non è stato morbido: non appena deglutita la pillola rossa, la simulazione inizia inevitabilmente a liquefarsi e collassare.
Cypher è un membro dell’equipaggio di Morpheus da lungo tempo e l’entusiasmo giovanile per la missione è ormai scemato, mentre la disillusione è ampiamente salita. Diversamente da Neo, l’uomo rimpiange infatti di aver scelto all’epoca la pillola rossa. Il suo disgusto per la dura e scabra realtà, composta da una nave spaziale claustrofobica, un insipido pappone a pranzo e cena e la costante minaccia di una morte atroce uccisi dalle macchine è palpabile. Stufo della situazione, si collega quindi a un certo punto al Matrix, contratta con l’agente Smith una vita di ricchezza e successi – seppure virtuale – e gli consegna i ribelli, suggellando l’accordo gustandosi una bistecca al sangue e assaporandone a lungo ogni succulento boccone. Un simbolo tangibile e rassicurante, a lungo agognato. Poi, si organizza per fare ritorno dentro al mondo virtuale e scordarsi tutto quello che ha visto e che sa. Lo dichiara lui stesso, sottolineando che non vuole ricordare niente, non vuole saperne più niente.
E non è solo questo il problema. Guardando allo scenario post-apocalittico in cui le enormi torri-incubatrici cibernetiche svettano, il Sole oscurato e le lande desolate che ormai ammantano la superficie terrestre, viene pure da domandarsi che mondo erediterà l’umanità una volta sconfitte le macchine. Pur ammettendo che la situazione sia reversibile – niente affatto una certezza … – i superstiti dovranno affrontare fame, carestie e privazioni d’ogni tipo per intere generazioni, mentre aspettano che il pianeta guarisca dalle profonde ferite inflittegli. Non che la libertà non valga ogni sacrificio sia chiaro, ma tali prospettive farebbero vacillare anche il più saldo idealista. Inoltre, chi dice che l’esistenza all’interno del Matrix sia meno valida di quella al suo esterno?
Qualora difatti riflettessimo sull’esperienza all’interno di un mondo virtuale, come si chiedeva in un articolo del 2016 Sam Kriss, “Se la realtà è qualsiasi cosa generalmente accettata come tale […], ha senso allora parlare di realtà simulate o concrete? Per quale motivo un universo costituito da un software è necessariamente meno reale di uno composto di materia?“. Tale riflessione era sorta in risposta a un tentativo – piuttosto inquietante – di alcune società della Silicon Valley di provare come la nostra quotidianità fosse costruita, esattamente come in Matrix, e fosse necessario trovare un modo di uscirne. Da un lato potrebbe apparire come una farneticazione di alcuni geek che hanno trascorso troppo tempo dietro alla tastiera. Se tutti gli aspetti controversi della realtà potessero essere ridisegnati con una App o un plug-in, tutto potrebbe essere risolto facilmente, ridisegnando un software difettoso.
D’altra parte, l’opposizione tra realtà concreta e illusione dei sensi ha radici antiche che risalgono addirittura alla concezione ontologica di Parmenide e dall’eleatismo, passando poi per i mistici, sino al monismo spinoziano, precedendo di secoli i capolavori fantascentifici di Philip K. Dick (e a Matrix). Dunque è di lunga data l’idea che in fondo la sfera fisica debba essere costantemente messa in dubbio, anche se diverse sono state le declinazioni di tale indagine metafisica, ultima delle quali proprio una metafisica di marca tecnologica, virtuale, non più spirituale come in passato. Quindi c’è assai molto più di ciò che la vista, l’udito e gli altri sensi ci permettono di conoscere, una verità che forse un giorno potrebbe essere svelata dalla scienza e capace di condurci in una dimensione ulteriore, in una trascendenza digitale.
Se applichiamo lo schema a Matrix, si potrebbe arrischiare che il XXI secolo in cui Neo si risveglia potrebbe essere a sua volta la simulazione di una seconda generazione di macchine, a loro volta in guerra con un’umanità che vive all’esterno di tale dimensione, e così via. Lo suggerirebbero anche alcuni particolari all’interno di Matrix Revolutions, capitolo conclusivo della saga uscito nel 2003. Ad esempio, i poteri di Neo iniziano ad un certo punto a scatenarsi non solo nella proiezione virtuale, ma anche nel mondo reale, fatto che potrebbe far pensare a una simulazione anche in questo caso. Visto da questa prospettiva, Cypher vivrebbe un dilemma filosofico: lasciata una felice dimensione con tanto di bistecche al sangue, vino rosso e piaceri d’ogni genere, è proiettato in un’altra decisamente più deprimente della prima, ma che potrebbe essere altrettanto fittizia.
Dunque, prima di trovare l’agognata via d’uscita dalla realtà virtuale, i geni dell’informatica della Silicon Valley dovrebbero forse riflettere meglio su ciò che implicherebbe inghiottire la pillola rossa. Lo ha capito Cypher che, più che un mero traditore senza cuore rappresenta l’uomo comune con tutte le sue ansie e debolezze. Alla fine, chi non ha estremo bisogno di una certa quota di finzione per il quieto vivere, sia questo rappresentato da amici simili a noi oppure il leggere quotidiani che confermano la nostra visione del mondo. Sarebbe uno shock venire strappati a tutto ciò che ci è familiare in cambio di una pillolina color rubino che ci proietta nella funesta esistenza di privazioni, ma ‘vera’, un incubo tecnologico freddo e agghiacciante in cui ciascuno è artefice (?) del proprio destino, che Morpheus auspica per l’intera razza umana. O forse no?
Di seguito la scena originale di Matrix in cui Joe Pantoliano si gusta la sua bistecca, mentre parla con l’agente Smith dei dettagli dell’accordo: