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Riflessione | Saw: la sag(r)a della tortura non è ancora finita (parte 1)

30/10/2017 recensione film di Jayenne

Con l'arrivo nei cinema di Saw: Legacy a sette anni di distanza da quello che doveva essere l'ultimo capitolo, cerchiamo di fare il punto della situazione, domandandoci se si sentisse davvero il bisogno di scomodare nuovamente l'Enigmista ripercorrendo i film della saga iniziata nel 2004

Che il gioco abbia inizio fine

A pochi giorni dall’uscita nelle sale dell’ottavo capitolo della saga, intitolato Saw: Legacy (la nostra recensione), mi è sembrato opportuno fare il punto della situazione su (Jig)Saw, il nostro torvo Enigmista di quartiere, pronto a tornare per l’ennesima volta sulle scene in questo nuovo e inatteso episodio. L’ho seguito molto attentamente fin dai suoi primi e timidi passi sullo schermo oltre 10 anni fa, un po’ impacciato ma furente di aspettative, e devo dire che è cresciuto parecchio da allora. Ricordo ancora i tempi che furono, quando nel lontano 2004 uscì Saw – L’Enigmista, la prima terrificante opera del regista esordiente James Wan. L’ansia claustrofobica, l’atmosfera cupa e surreale e poi lui, il sadico giustiziere di anime, pronto a traghettarle all’Inferno se non ammettono le loro colpe, cercando di sopravvivere alle sue trappole ingegnose e ai trabocchetti. Tutto in questo thriller a tinte horror inquietante e morboso mi colpì.

saw l'enigmista posterSi tratta di un’opera intelligente, girata in pochissimi giorni e con un budget ridicolo (1.2 milioni di dollari), capostipite di una saga che nel corso degli anni ha finito per svilire l’intento originale, sia per i cambi di regia, sia per la finta novità di voler a ogni costo proseguire oltre con un pezzo di puzzle aggiuntivo. Insomma, con il primo Saw – per il quale venne adottato per la prima volta il termine torture porn – il cinema horror prese una svolta in termini di creatività, perché al giorno d’oggi gli horror, si sa, presentano quasi tutti cliché a cui siamo legati e da cui non possiamo discostarci. Il leitmotiv è sempre lo stesso: il rapporto tra Bene e Male, tra falsità e consapevolezza e la voglia di riscatto che ci porta a dover – e poter – sopravvivere a ogni costo contro un Tempo boia che ha le sembianze di un pupazzo sul triciclo – Billy – che ci rincorre lento fino alla rivelazione finale, che ci lascerà quasi sicuramente a bocca aperta.

Nonostante questa prima opera non contenga scene particolarmente truculente, a parte la geniale maschera/trappola per orsi (che ritroveremo varie volte in seguito) indossata da Amanda Young (Shawnee Smith), una tossicodipendente sottoposta al giudizio sadico di Jigsaw, che riesce a liberarsi e che da qui in poi diverrà la sua fedele e riconoscente apprendista, e il taglio con una sega di un piede all’altezza della caviglia incatenata, volutamente mascherato dalle urla del Dottor Gordon (Cary Elwes), un sopravvissuto rinchiuso nel bagno della scena d’apertura, ci troviamo di fronte a un film morboso, un racconto ansiogeno, crudelmente originale, con uno splendido colpo di scena finale che ci lascia intuire che potremmo sentire ancora parlare del killer.

Dopo un anno infatti esce Saw II – La soluzione dell’enigma, la cui regia e sceneggiatura viene affidata a Darren Lyn Bousman, che dirigerà anche il terzo e il quarto capitolo della serie, con Wan che si accontenta qui della produzione. Il nostro moralizzatore è cresciuto, così come il numero delle sue potenziali vittime: ritroviamo infatti ben otto persone intrappolate in un edificio alla ricerca di indizi per arrivare alla agognata libertà, otto dei Dieci piccoli indiani descritti nel noto romanzo di Agatha Christie del 1939, in cui i protagonisti erano reclusi all’interno di una costruzione su un’isola e uno dopo l’altro morivano tutti, in modi differenti naturalmente, proprio come i nostri malcapitati. Otto come pure i capitoli fino ad oggi arrivati al cinema. Otto e non ancora dieci, fosca premonizione di altri due possibili sequel … In ogni caso, La Soluzione dell’Enigma vanta un aumento della violenza, del gore e della carneficina mostrate (si prende il V. M. 14 in sala), che lo inseriscono di diritto anche all’interno del filone slasher. In inglese, questo termine significa ‘squarciare / ferire profondamente con un arma affilata’ e Saw, oltre ad essere il passato del verbo ‘to see’ (‘vedere’, come l’Enigmista che tutto osserva voyeuristicamente dai suoi monitor, e lo spettatore con lui), vuole dire anche ‘sega’ (quando si parla di titoli non casuali …).

saw II siringheInoltre, il film adotta l’espediente di racchiudere in uno spazio ristretto personaggi che apparentemente non hanno nulla in comune. In questo, Jigsaw è davvero bravo, ordendo la trama del suo ingegnoso piano fin dal principio, coinvolgendovi ignare vittime che si scopre essere invece tutte accomunate da qualche elemento in comune, sia tra loro, sia con John Kramer (l’Enigmista), che qui si mostra in tutto il suo cupo splendore dopo la fugace comparsata nel film precedente. Tobin Bell è infatti è l’unico vero e indiscusso protagonista della saga, un uomo che segnato dal volto dolente e consumato dal dolore per la malattia incurabile che l’ha colpito non ha nulla da perdere e che vuole solo farsi ascoltare, con ogni mezzo. Saw II è stato voluto fortemente dai fan della nascente saga, che hanno sommerso di mail la Lionsgate.

Girato in 25 giorni, è sicuramente il più violento e teso di tutti gli episodi realizzati e anche quello che in termine di incassi ha guadagnato di più in patria (87 milioni di dollari a fronte dei 4 di budget). Dopotutto, l’ansia e l’attesa fanno salire le aspettative e con esse il numero di biglietti staccati! Tutto è incentrato sul legame padre/figlio, sulle dinamiche dei sentimenti, sulla rabbia e l’inadeguatezza del sentirsi impotenti, del non poter fare nulla per salvare chi ami, una sorta di riscatto dai propri fallimenti. Alla fine però restano solo belle intenzioni, e Jigsaw lo sa bene. Questo Enigmista in particolare ci “aiuta” a mettere a confronto le ferite psicologiche che ci portiamo dentro con la voglia di sopravvivere, per poterci redimere ed essere così persone migliori. La regia di Bousman è abbastanza impersonale, non stupisce rispetto a quella di Wan e il film non dà alcun valore aggiunto al capostipite, ponendo in una situazione di stallo il franchise, relegandolo in una specie di limbo che verrà però superato con il capitolo successivo.

Degne di citazione sono comunque le trappole predisposte, gli strumenti di tortura che John da bravo ingegnere costruisce con le sue operose manine. Se pensiamo che in antichità venivano usate da fazioni nemiche per estorcere informazioni e che si basavano sul dolore fisico, non si può certo dire che John Kramer non abbia imparato parecchio anche sul terrore psicologico. Se ci fate caso, tutto l’ambiente ricorda un lager e su ogni vittima è tatuato un numeretto (anche se ha i colori dell’arcobaleno per alleggerire un po’ il carico, ma chi ci fa caso in quei momenti, in preda all’angoscia di poter sopravvivere al gas nervino che lentamente lo sta asfissiando?). Insomma l’Enigmista ha studiato eccome, attingendo al passato per punire nel presente.

Come non ricordare la scena in cui Amanda si getta in una pozza piena di siringhe, un’Amanda consapevole di farsi del male per ricordare attraverso le ferite la possibilità di riscatto che le diede John di poter tornare ad apprezzare pienamente la vita … Insomma, lo spessore degli sequestrati è ai minimi, a volte i dialoghi sono ridicoli, ma Amanda e John in particolare sono perfetti. Non delude nemmeno la fotografia di David A. Armstrong, con un occhio sempre attento al colore del sangue e all’illuminazione, che un po’ spezza il buio opprimente e l’atmosfera cupa e disidratante. Il film regge adeguatamente e la nostra insolita final girl Amanda chiude questo capitolo là dove tutto era incominciato, in quel lurido bagno, dove ci attende una rivelazione che lascia carichi di stupore e voglia di vedere un sequel che non tarda ovviamente ad arrivare, se considerate un anno un termine di tempo legittimo per imbastire L’enigma senza fine di Saw III, uno spettacolo ritagliato per i soli Amanda e John.

saw III soluzioneIl film del 2006 contiene chiarimenti e pause nei dialoghi, con la pretesa di dare spiegazioni attraverso i flashback per tentare di riesumare il passato rivelando in tal modo retroscena inediti e stupefacenti per tirare avanti un altro po’. E’ un episodio teso e psicologicamente più torture, anche se il ritmo è più lento e l’azione per lo più latita. Quasi più introspettivo, una sorta di voluta transizione per legittimare la sete di splatter più spinto che caratterizzerà i capitoli che verranno. Tobin Bell – al cui fianco c’è un’Amanda riconoscente che farebbe qualsiasi cosa pur di restargli vicino – giganteggia con la sua intensità calma e spietata, che mette qui in luce il suo lato più fragile, solitario e speranzoso.

Mentre nel secondo film le decisioni erano più classiche, c’erano più vittime radunate e poi uccise a turno come in ogni slasher che si rispetti, qui assistiamo a una svolta, facendo convergere due filoni narrativi in uno solo. Da un lato abbiamo Amanda e John, dall’altra le vittime, marito e moglie, Jeff e Lynn (Angus Macfadyen e Bahar Soomekh). Il tema del perdono è centrale nel film. C’è un calo di violenza e di espressività narrativa, la sceneggiatura e i dialoghi (scritti da Wan e Leigh Whannell) non sono al top e servono praticamente solo a far da condimento al festival delle carni, come per la scena dei maiali triturati e maciullati (per inciso, davvero strepitosa!). John viene operato al cervello dalla dottoressa rapita, per cercare così di darsi una possibilità di vita nonostante la malattia, mentre il coniuge deve sottoporsi nel frattempo a prove mortali per decidere se perdonare o vendicarsi di tutte le persone che sono state in un qualche modo coinvolte nell’omicidio stradale del figlio Dylan, per poi arrivare al vero test finale, con tanto di iconica crocifissione di uno dei carnefici impuniti.

Il dolore, sia fisico – perché John non si sottopone ad anestesia durante l’operazione, sia morale – per i sentimenti che Amanda prova per lui, accecata però dalla bramosia e dalla gratitudine, è il vero protagonista in tutte le sue forme. Anche la donna però non riuscirà a perdonare, e a causa della sua rabbia furente causerà la fine John, uccidendo la dottoressa che ha provato a operarlo e, in un finale tragicomico, perendo lei stessa. Con un filo di voce vediamo infine John implorare perdono al capezzale del prescelto, ma per tutta risposta Jeff gli taglierà la gola (con una sega …). E’ un trionfo dell’omicidio, delle carni intese come semplici lembi di pelle, ossa, muscoli e sangue – tanto sangue – e dei resti di suini putrefatti, ma anche di redenzioni, di pentimenti, di amore e fragilità, di quanto siamo disposti a perdonare chi ci ha precedentemente ferito. Il ripetersi delle scelte comincia tuttavia già a pesare, ma almeno i tasselli del puzzle sembrano essersi incastrati in modo corretto. E poi Kramer e il suo braccio destro sono morti, quindi fine dei giochi no? No. Saw III, con 164 milioni di dollari incassati del mondo si piazza sul gradino più alto degli incassi (e non scenderà più). Un incentivo eloquente a proseguire.

Tentando di affiliare e avvicinare anche i più giovani alla saga di Saw tramite il mercato videoludico, vengono poi lanciati sul mercato anche due videogiochi, ovviamente incentrati sulla figura di Jigsaw. Il primo, prodotto nel 2009 dalla Konami, non ha una collocazione temporale precisa, ma si infila tra il secondo e il terzo film, mentre il sequel – Flesh & Blood – esce nel 2010, in contemporanea con Saw 3D – Il capitolo finale (come no …), di cui parleremo in seguito.

continua …

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