Il regista torna sulle scene con un creature feature dignitoso, che vanta interpretazioni di buona fattura e può contare su qualche momento gore riuscito
Esiste una lunga e gloriosa tradizione di film horror sui ragni. A volte sono enormi, come in Tarantola (1955), Arac Attack – Mostri a otto zampe (2002) o Abyssal Spider (2020) or Big Ass Spider (2013). Possono essere alieni (L’invasione dei ragni giganti del 1975) o, beh, un pupazzo posseduto (Possum, 2018).
A volte sono semplicemente molto velenosi o molto numerosi, come in Kingdom of the Spiders o Tarantulas: il volo della morte (entrambi del 1977). Il miglior film sui ragni di tutti i tempi rientra in quest’ultima categoria: Aracnofobia (1990).
In Sting un (inizialmente) piccolo ragnetto extraterrestre attraversa le vastità dello spazio, scende nella nostra atmosfera ed entra dalla finestra di un condominio dove viene scoperto da una ragazzina impacciata di nome Charlotte (Alyla Browne). In cerca di una distrazione dalle tensioni familiari tra la madre (Penelope Mitchell) e il patrigno (Ryan Corr), Charlotte decide di allevare il “ragno” come animale domestico, solo che lui inizia a crescere e a far fuori i suoi vicini uno a uno.
Si potrà fermare l’aracnide alieno e la famiglia potrà trovare pace?
Il cast è arrtorondato da Robyn Nevin, Noni Hazelhurst, Silvia Colloca, Danny Kim e Jermaine Fowler, tutti discretamente dignitosi nelle rispettive parti.
La parte migliore di Sting, di gran lunga, sono comunque i primi sette minuti, che funzionano come un piccolo cortometraggio già perfetto in sé (e il sospetto che sia così che sia stato originariamente concepito e girato è forte).
Seguono un’anziana signora affetta da Alzheimer mentre cerca di contattare un disinfestatore per risolvere il problema dei forti rumori che provengono dalle sue pareti, e questo freddo incipit è girato con un’energia e un’arguzia che ricordano quelle dei giovani Sam Raimi o Jean-Pierre Jaunet.
Nei seguenti 80 il ritmo si tranquillizza un po’ e il risultato è una prevedibile ma piacevole ‘caccia all’insettone’, puntellata di momenti gore inaspettati. Il design dei ragni è decente, ogni tanto vediamo una buona gag e il climax è piacevolmente teso.
La sottotrama della ‘famiglia disfunzionale’, evidentemente più seriosa, non si sposa necessariamente bene con gli elementi più sopra le righe del tipico creature feature, ma nel complesso Sting è un horror divertente per una serata senza impegni. Senza contare che l’aspetto della ‘bambina che alleva un mostro’ riporta alla mente persino un piccolo cult come Alligator, un plus per i più esperti del sottogenere. Nessun miracolo, ma intrattenimento ben confezionato.
In attesa di capire se lo vedremo anche dalle nostre parti, di seguito trovate il trailer internazionale di Sting: