Un prodotto che mescola horror acquatico e mitologia azteca, ma effetti digitali scadenti e una trama forzata affondano un'idea ambiziosa di eco-thriller
The Black Demon si propone come un tentativo ambizioso di rinfrescare il filone dei film sui mega-squali, mescolando elementi di mitologia azteca, critica sociale e horror soprannaturale in un’ambientazione offshore claustrofobica. Ma ciò che poteva essere una rilettura intelligente e culturale del genere si trasforma in un’esecuzione stanca, incerta e visivamente poco efficace, vittima delle stesse trappole in cui sono già caduti molti dei suoi predecessori.
L’idea alla base non è priva di fascino: un leggendario megalodonte, il “Demonio Negro”, veglia sulle acque della Baja California come spirito vendicativo della natura, evocato per punire la devastazione ambientale causata da una piattaforma petrolifera americana ormai in disfacimento. Il protagonista Paul Sturges, interpretato da Josh Lucas, è l’incarnazione dell’arroganza corporativa statunitense: un ingegnere in missione per valutare il destino dell’impianto Nixon Oil, che si ritrova intrappolato sul relitto galleggiante insieme alla sua famiglia. Lì si scontra con la mitologia locale, con la colpa ecologica e con un gigantesco predatore marino.
Visivamente, The Black Demon non riesce a colpire. L’uso eccessivo di CGI poco raffinata, in particolare per il rendering dello squalo, mina l’efficacia delle scene d’azione. Quando il mostro compare, invece di terrorizzare, distrae: la sua presenza è poco credibile, la sua scala mal calibrata, e le sue azioni troppo vaghe per generare vera tensione. La decisione di mostrarlo poco si rivela un’arma a doppio taglio: da un lato nasconde i limiti visivi, dall’altro priva lo spettatore del brivido che ci si aspetta da un film del genere.
Anche l’equilibrio tra dramma umano e horror è sbilanciato. La caratterizzazione dei personaggi è debole, con dialoghi espositivi e reazioni poco coerenti. Paul è scritto come un personaggio volutamente sgradevole, ma il suo arco di redenzione manca di coerenza e profondità. La moglie Ines e i figli restano pedine narrative, raramente protagonisti attivi della vicenda. L’unico a portare un minimo di umanità nel cast è Chato, interpretato con carisma da Julio Cesar Cedillo, che incarna la voce della coscienza locale, ma anche lui viene limitato da una sceneggiatura che preferisce stereotipi a vere sfumature.
L’ambientazione sulla piattaforma petrolifera ha un potenziale claustrofobico e simbolico – un’isola artificiale di sfruttamento, isolata nel mare inquinato – ma viene sfruttata con poca inventiva. Le scene d’azione sono ripetitive, i tentativi di salvataggio si somigliano tutti, e la suspense si esaurisce presto. Persino le dinamiche da disaster movie – a cui il film vorrebbe attingere – non trovano spazio sufficiente, complici un cast ridotto e una regia timorosa.
In ultima analisi, The Black Demon è un’occasione mancata. Vuole essere un horror marino dai toni allegorici, ma finisce per nuotare in acque torbide, né efficace come denuncia ecologista né appagante come intrattenimento di genere. In un panorama già affollato di shark movies mediocri, non basta evocare miti ancestrali o criticare il capitalismo petrolifero per emergere: serve coerenza tematica, tensione costruita con maestria e – soprattutto – uno squalo credibile. Senza questi elementi, il film affonda nel dimenticatoio come tante altre pinne digitali prima di lui.
Di seguito trovate il trailer internazionale di The Black Demon: