Un ambizioso mix di catastrofe e fantascienza che emoziona all’inizio ma si perde quando cerca di spiegare troppo
Tra i titoli più attesi su Netflix per il finale di 2025, The Great Flood si presenta come il classico film che sembra nato per dominare le classifiche: disastro globale, palazzi che affondano, effetti digitali spettacolari, volti amati come Kim Da-mi e Park Hae-soo. Sulla carta, il pacchetto è perfetto. Ma basta seguire An-na per qualche piano di scale allagato per rendersi conto che il film di Kim Byung-woo è affascinante e frustrante allo stesso tempo.
La storia parte subito in corsa: a Seul una pioggia senza fine provoca un’alluvione che inghiotte un enorme condominio piano dopo piano. An-na, ricercatrice nel campo dell’intelligenza artificiale e madre single, si sveglia con il figlio Ja-in e scopre che il loro appartamento sta diventando una piscina mortale. Mentre i vicini si accalcano sulle scale, un uomo misterioso, Hee-jo, la raggiunge con un ordine preciso: deve arrivare viva sul tetto, dove un elicottero la attende. Non si tratta solo di salvarla come madre, ma come scienziata che custodisce un progetto segreto legato al futuro dell’umanità.
In questa prima parte The Great Flood funziona benissimo come film catastrofico coreano da vedere su Netflix: corridoi pieni d’acqua che si trasformano in trappole, porte sfondate dalla pressione, ascensori che diventano camere di morte. Lo spettatore sente quasi sulle spalle il peso dell’acqua, accompagna An-na stanza dopo stanza, respirando con lei ogni boccata d’aria. Gli effetti digitali sono credibili, la messa in scena è curata e la tensione resta alta senza bisogno di spiegoni. È il momento in cui la recensione di The Great Flood può solo riconoscere la solidità del lato spettacolare.
Hee-jo, interpretato da Park Hae-soo, incarna invece la logica fredda della missione. È il volto di chi ragiona per priorità: salvare An-na e il suo lavoro prima di tutto. Il contrasto tra lui e la protagonista apre una domanda scomoda che attraversa il film: quanto vale una singola vita rispetto alla possibilità di dare un futuro all’intera specie? Il problema è che questo spunto, pur interessante, resta più suggerito che sviluppato, e il personaggio finisce per sembrare meno complesso di quanto potrebbe.
Il punto davvero divisivo è la svolta sci-fi che arriva a metà. Quando viene rivelata la causa del disastro globale e il vero ruolo del progetto di An-na, il racconto abbandona in parte il suo volto di puro disaster movie per entrare in un territorio più astratto, fatto di scenari ricorsivi, scelte da ripetere e correggere, realtà che sembrano rimettersi in moto da capo. Alcuni spettatori troveranno questa virata stimolante, perché prova a fare qualcosa di diverso dal solito “fine del mondo”. Altri la vivranno come una brusca frenata: le spiegazioni appesantiscono il ritmo, la tensione fisica si diluisce in dialoghi e concetti non sempre chiarissimi, la durata di poco meno di due ore comincia a farsi sentire.
Alla fine The Great Flood sarà inevitabilmente divisivo. Da un lato, come produzione coreana ad alto budget per Netflix, offre esattamente ciò che promette: una grande catastrofe spettacolare, una madre che lotta per il figlio, un’ambientazione claustrofobica che tiene incollati allo schermo. Dall’altro, la volontà di spingersi verso una fantascienza più concettuale finisce per indebolire ciò che funzionava meglio: il corpo, il respiro, la paura concreta di affogare in un condominio che affonda con te.
Vale la pena vederlo allora? Sì, se si è curiosi di capire fino a che punto il cinema catastrofico coreano stia cercando di reinventarsi e se si cercano film Netflix che uniscano emozione e idee, anche quando non vanno del tutto a segno. No, se si desidera solo un racconto lineare di sopravvivenza, senza deviazioni mentali e senza il rischio di uscire dai titoli di coda più confusi che sconvolti.
Di seguito trovate il full trailer internazionale, su Netflix dal 19 dicembre: