Categories: Horror & Thriller

The Piper: la recensione dell’horror sinfonico con Julian Sands

Julian Sands è l'istrionico protagonista di un film musicale ambizioso ma imperfetto

The Piper di Erlingur Thoroddsen prova a riaccendere il mito del Flautista di Hamelin trasformandolo in un’ossessione sonora che attraversa partiture perdute, nastri misteriosi e un concerto capace di ipnotizzare i bambini. L’idea, in sé, è potente: usare la musica come linguaggio proibito, capace di codificare il male e di trasmetterlo come un contagio. Ma tra ambizione e risultato si apre presto un fossato.

Il film impila simboli (la maestra compositrice che tenta di distruggere l’opera maledetta, il direttore d’orchestra tirannico che la vuole riportare in vita, la strumentista madre divisa tra carriera e protezione della figlia) senza dare a ciascuno il respiro necessario. Ne nasce un racconto che procede per segnali luminosi e indizi espliciti, raramente per vera messa in scena; la suspense non matura, si dichiara.

Sul piano tematico la pellicola sceglie la via più intrigante – la musica come rito, lo spartito come grimorio, il concerto come evocazione – ma la abbandona proprio quando dovrebbe affondare il colpo. L’evocazione del Flautista funziona finché resta allusione: visioni intermittenti, accenni di melodia, la paura di una chiamata che solo i più piccoli possono udire. Quando invece arriva il disvelamento, l’immagine collassa in un immaginario digitale povero, filtrato e facilone, più vicino al videoclip d’epoca che a un incubo folclorico. L’ultimo atto, con la processione dei bambini stregati e i richiami nevosi da “mondo parallelo”, pretende grandiosità ma consegna artigianato vistosamente artificiale: proprio lì dove il mito chiedeva materia, odori, terra, bosco, suono.

La protagonista interpretata da Charlotte Hope incarna bene il conflitto tra ambizione e responsabilità, ma il copione le concede soprattutto reazioni, meno scelte. Il personaggio resta spesso in balia della trama e dei suoi colpi di scena, invece di guidarli. Al contrario Julian Sands, nei panni del maestro Gustafson, trova un registro iperbolico che dà corpo a un antagonista magnetico, narcisista e superstizioso quanto basta: l’unico vero “spettacolo” umano del film. Accanto a loro, il dettaglio della figlia con problemi di udito apre un varco interessante – l’orrore come rumore, la protezione come silenzio – che però la regia utilizza più come leva emotiva che come idea formale.

Il ritmo soffre di una doppia zavorra: da un lato il cinema di “mood” (tenebre, sottobosco, legni scricchiolanti, sangue “di naso” come campanello d’allarme) ripetuto fino alla stanchezza; dall’altro una catena di cliché che spunta puntuale quando servono scorciatoie – l’auto che non parte, l’indizio in latino decrittato al momento giusto, l’amico di famiglia che brucia le tappe della follia. Perfino la musica, che dovrebbe essere il cuore rituale della storia, suona generica: la partitura “maledetta” non ha una personalità sonora che rimanga in testa o che faccia davvero male alle orecchie; è il racconto a dirci quanto sia terribile, non l’ascolto a dimostrarlo.

Eppure, qua e là, si intravede il film che avrebbe potuto essere. Quando la macchina da presa smette di spiegare e lascia che siano gli sguardi dei bambini, i silenzi di una sala prove, il soffio di un flauto a costruire l’angoscia, The Piper accende una promessa: l’orrore come vibrazione, non come urlo. Anche alcune dinamiche secondarie (la rivalità tra strumentisti, il peso del passato della mentore, il rapporto di dipendenza tra artista e direttore) avrebbero potuto convergere in un discorso più acuminato su potere e controllo, trasformando il Flautista in metafora del sistema che “rapisce” i giovani talenti attraverso il richiamo del successo.

Invece il film preferisce svelare, amplificare, illustrare. E quando, nell’epilogo, pretende il massimo, raccoglie il minimo: un’orgia di effetti che cancella la paura e rende evidente la costruzione. Resta il carisma di Sands, cui il film è dedicato, e qualche lampo di messa in quadro capace di insinuare il dubbio che il male non sia un demone con la maschera, ma un motivo che non smetti di canticchiare. Per il resto, The Piper è un horror che confonde la partitura con l’orchestrazione: ha il tema, ma non la struttura per farlo deflagrare. Chi cerca un vero brivido folklorico, radicato nel legno e nel respiro, troverà più promessa che compimento.

Di seguito trovate il trailer doppiato in italiano di The Piper:

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Published by
William Maga