Ci sono Aniello Arena e Antonia Truppo tra i protagonisti dell'opera prima del regista, che ci guida tra le strade di Napoli, in mezzo a scontri di strada e generazionali
Il tempismo non potrebbe essere migliore – o peggiore – per l’arrivo su Netflix di Ultras, dramma urbano scritto e diretto dall’esordiente Francesco Lettieri sul fanatismo estremo di una tifoseria di una squadra della Serie A che viene distribuito proprio quando l’intera nazione che fa del calcio una seconda religione è bloccata in casa senza partite a causa della pandemia da coronavirus.
Infilandosi nel solco tracciato da esponenti italiani di questo stesso sottogenere, come Ultrà di Ricky Tognazzi (1991) e L’Ultimo Ultras di Stefano Calvagna (2009), o internazionali, come The Football Factory di Nick Love (2004) e Hooligans di Lexi Alexander (2005), Ultras, fondamentalmente, è un film che parla di mascolinità tossica e della definizione di famiglia e su come – a volte – questi due elementi si incontrino e scontrino. Quella di Francesco Lettieri, è un’opera sulla radicalizzazione e il cambiamento generazionale, sulla nostalgia per il passato che si cela dietro alla spavalderia ostentata e sulla difficile realtà del presente.
Al centro di tutto ciò c’è il rapporto tra Sandro (Aniello Arena) e Angelo (Ciro Nacca). Il primo è a capo della frangia più radicale degli ultrà del Napoli, gli Apache, ma quando viene bandito dallo stadio – la sua seconda casa – deve cominciare a riconsiderare il futuro. Le ultime settimane del campionato italiano sono così segnate dal suo rapporto con Angelo, un giovane che ha bisogno di un mentore, con l’affascinante e dura Terry (Antonia Truppo) e, soprattutto, dalla ricerca di un posto nel mondo, possibilmente lontano dalla violenza e dai pestaggi che han fatto parte della quotidianità così a lungo, mentre intorno giovani e spregiudicati membri stanno aspettando il momento giusto per prendere il comando del tifo. Tutta la vicenda, come ampiamente dichiarato dal regista, è fittizia, dal nome del clan a quelli dei protagonisti. Sappiamo solo che uno dei figli di Sandro è morto nel corso di una partita contro la Roma. Assistiamo al ‘rito’ della firma in Questura settimanalmente dopo il daspo e sembra che voglia soltanto dedicarsi a una vita normale, anche se i suoi vecchi amici non glielo renderanno un compito facile.
Questi aspetti della trama rendono Ultras un’interessante esplorazione dell’identità. Prova ad esaminare quello che succede quando ogni singola parte della tua vita è completamente polarizzata su un’unica cosa – in questo caso sostenere una squadra di calcio – a grandi scapito personale; quello che succede quando quell’unico pensiero fisso che è diventato la tua intera identità inizia a svanire o quello che accade quando il gruppo di persone che hai guidato per tutta la vita decide di scegliere un nuovo leader. Più in superficie, è anche un caso di studio sulla radicalizzazione dei giovani che cercano di trovare uno scopo nella vita. Francesco Lettieri tocca molti di questi punti nei 110 minuti del suo film, tra cui la loro creazione di un obiettivo, la loro ricerca di una famiglia surrogata, che possano offrire qualcosa su cui concentrare e sfogare il loro malcontento, dettato dalla situazione sociale in cui vivono.
Curiosamente, non molto tempo fa, sempre Netflix ha messo a catalogo la serie argentina Puerta 7, che sostanzialmente affronta lo stesso problema (Argentina, Italia e Inghilterra sono senza dubbio i paesi dove il tifo è più ‘caldo’). Lì, al contrario del film di Francesco Lettieri, viene mostrato come questi gruppi di tifosi radicali vivano in collusione coi dirigenti dei club stessi e abbiano interessi economici comuni. Ultras, invece, non si preoccupa troppo di insinuare di eventuali aiuti ‘esterni’ o anche solo di approfondire bidimensionalmente chi siano i membri degli Apache o quale sia la loro ideologia politica (e sappiamo bene come sia spesso fortemente marcata). In questo senso, alcuni personaggi esistono esclusivamente per infilare battute più o meno volgari al momento giusto, così come la storia d’amore tra Sandro e Terry è piuttosto sotto sviluppata, con le scene di sesso che appaiono per lo più gratuite.
Lodandone comunque lo sforzo tecnico e produttivo, specie per un’opera prima, qualche problema ce l’ha soprattutto la sceneggiatura, che prova ambiziosamente – ma senza grande successo – a far convivere e incrociare due principali fili narrativi, quello che dipinge gli orrori di un’organizzazione para-criminale in cui due forze stanno cercando di guadagnare potere e quello di Sandro che si sforza in tutti i modi per cominciare una nuova vita ma fatica a tagliare i ponti coi doveri di capo clan.
Ultras, insomma, quasi getta il sasso e poi toglie la mano, addentrandosi meno di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi in un soggetto così tagliente e attuale, che certo meriterebbe un approccio più coraggioso e analitico. Spiace ancora di più perché, non dovendo passare dai cinema, forse più bacchettoni e censori, Francesco Lettieri avrebbe dovuto e potuto osare davvero senza farsi troppe remore. Chissà, forse si è contenuto per non attirarsi le inimicizie dei tifosi del Napoli o della stessa cittadinanza. Auguriamoci solo che sia il primo (comunque dignitoso) passo verso una carriera alla Stefano Sollima (o alla Matteo Garrone, scegliete pure voi). La stoffa sembra esserci.
Di seguito il full trailer di Ultras, nel catalogo di Netflix dal 20 marzo: