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Wicked: Parte II, la recensione del film di Jon M. Chu che chiude il dittico

Una seconda parte visivamente potente ma irregolare, salvata dalla straordinaria sintonia emotiva e vocale di Elphaba e Glinda

Wicked: Parte II (Wicked: For Good) arriva nelle sale con l’ingrato compito di raccogliere l’eredità del primo capitolo, un successo colossale che aveva unito incassi, premi e approvazione critica. Se la scelta di dividere l’adattamento del musical in due film aveva destato dubbi, la risposta del botteghino aveva dissipato ogni incertezza. Il secondo capitolo, però, espone con chiarezza sia i limiti del progetto sia le sue virtù più evidenti.

La storia riprende a distanza di alcuni mesi dagli eventi conclusivi del primo film: Glinda è ormai il simbolo brillante e rassicurante del regime del Mago, mentre Elphaba, bollata come minaccia pubblica, conduce una vita in clandestinità. La loro frattura, già dolorosa nel finale precedente, diventa il cuore emotivo di questo secondo segmento. L’una cerca di mantenere la dignità all’interno di un sistema corrotto, l’altra rifiuta qualunque compromesso e si lancia in azioni di sabotaggio contro le ingiustizie di Oz, dove gli Animali sono sempre più oppressi.

Il film mostra una Elphaba che vola sulla sua scopa come una guerriera solitaria, intento a rovesciare un potere fondato sulla propaganda. Proprio la propaganda diventa uno degli elementi più forti del film: la campagna orchestrata da Madame Morrible, capace di manipolare i messaggi e trasformare verità scomode in minacce inventate, offre una lettura sorprendentemente moderna del mondo di Oz. L’episodio in cui una frase di denuncia viene mutata magicamente in un presunto incitamento alla violenza riassume l’essenza di un potere che vive di distorsioni, sospetto e paura.

Ma Wicked: Parte II non può fuggire dall’obbligo di legarsi all’opera originale. E qui emergono le maggiori rigidità del racconto. Il film deve mostrare l’arrivo di Dorothy, le origini dello Spaventapasseri, del Leone e dell’Uomo di Latta, e preparare il terreno agli eventi del classico racconto. Questa sovrastruttura finisce per limitare la storia principale, sottraendole respiro e obbligandola a incastrarsi in una cronologia predeterminata. Alcuni incroci narrativi risultano forzati, quasi che le vicende delle due streghe debbano continuamente fare spazio a quella che, in fondo, è un’altra storia.

Il triangolo fra Elphaba, Glinda e Fiyero avrebbe potuto compensare questo vincolo con una forte componente emotiva, ma la dinamica sentimentale procede con fatica, soprattutto nella scena della confessione d’amore tra Elphaba e Fiyero (Jonathan Bailey), priva della tensione e della passione che un passaggio simile dovrebbe portare sullo schermo. Gli stessi momenti dedicati alle origini dell’Uomo di Latta e dello Spaventapasseri, pur necessari per la mitologia, mancano dell’impatto drammatico che dovrebbero avere.

Sul fronte musicale, la questione è altrettanto complessa. Il primo film aveva già utilizzato la maggior parte dei brani più celebri del musical, lasciando al secondo atto un compito ingrato. Le nuove canzoni cercano di colmare questo vuoto, ma non possiedono la stessa immediatezza o intensità. I due brani originali aggiunti per il film servono più alla definizione dei personaggi che alla memoria dello spettatore. I fan più affezionati noteranno anche modifiche o tagli ad alcune transizioni musicali storiche, scelte comprensibili sul piano cinematografico, ma rischiose per l’equilibrio emotivo.

La regia di Jon M. Chu cerca di compensare con un continuo movimento di macchina e un uso massiccio di scenografie monumentali, costumi scintillanti e colori saturi. Alcune sequenze funzionano magnificamente, come l’apertura in cui Elphaba interrompe la costruzione del Sentiero di Mattoni Gialli, o la reinterpretazione visiva del tormentato “No Good Deed”, dove immagini in bianco e nero richiamano l’immaginario classico del cinema di Oz. In altri momenti, però, l’eccesso visivo diventa sovraccarico: la sensazione è che la ricchezza decorativa soffochi la chiarezza narrativa, soprattutto nelle scene di massa, dove la regia sembra perdere il punto d’attenzione.

Questo contrasto mette in risalto ciò che davvero regge l’intero film: le interpretazioni di Cynthia Erivo e Ariana Grande. La Erivo, con una presenza scenica magnetica e una potenza vocale che attraversa ogni scena, trasmette un dolore trattenuto e una forza quasi ascetica. Il suo percorso di disillusione e determinazione è il frammento più autentico della storia. La Grande, dal canto suo, si libera gradualmente dell’aura da bambola perfetta ereditata dal primo film. In “For Good”, la sua trasformazione diventa evidente: una Glinda che comincia a rendersi conto del peso dei privilegi, del costo della verità e dell’urgenza di assumersi responsabilità adulte.

Il loro duetto finale è il picco emotivo dell’opera: una dichiarazione reciproca di cambiamento e riconoscenza, cantata come un addio definitivo. È in quel momento che il film ritrova la densità che a volte gli sfugge, e il pubblico risponde con la stessa intensità con cui ha accolto il primo capitolo. La forza della loro amicizia, contraddittoria e salvifica, restituisce al film la sua etica profonda: una riflessione sulla possibilità di trasformare l’altro e lasciarsi trasformare, pur camminando su strade divergenti.

Resta però evidente che Wicked: Parte II, pur ambizioso, non possiede la compattezza drammatica del suo corrispettivo teatrale. La versione cinematografica allunga ciò che a teatro era rapido, diluisce ciò che sul palcoscenico bruciava. Il secondo atto del musical viveva di urgenza, dolore e rivelazioni; qui, la necessità di spiegare, mostrare e collegare ogni tassello rallenta i tempi e indebolisce il pathos.

Eppure, per quanto irregolare, il film non è privo di fascino. Il mondo di Oz continua a essere un territorio ideale per parlare di propaganda, pregiudizio, costruzione del consenso, responsabilità del potere e ruolo delle minoranze. Elphaba, ostinata e incompresa, resta una delle figure più iconiche per raccontare cosa accade quando un’intera società decide che qualcuno debba diventare il suo nemico. Glinda, con il suo percorso verso una consapevolezza dolorosa, aggiunge una sfumatura ulteriore: la possibilità di cambiare dall’interno un sistema ingiusto, anche se a un costo personale altissimo.

Insomma, Wicked: Parte II non è un film perfetto, e non raggiunge l’impatto del primo capitolo. Ma non tradisce lo spirito dell’opera originale: celebra la forza di due protagoniste che, pur separate dal potere, dal destino e dalle manipolazioni del mondo, continuano a scegliersi. Anche quando non possono più farlo apertamente. Anche quando l’unica forma possibile di vicinanza è un addio cantato con voce spezzata.

In fondo, l’incanto di Wicked sta tutto lì: nel modo in cui due streghe così diverse continuano a cambiare, una per sempre, il cuore dell’altra.

Di seguito trovate il final trailer doppiato in italiano di Wicked – Parte 2, nei cinema dal 19 novembre:

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Published by
William Maga