Il singolare episodio 15 del cartone animato con cui Tetsuo Hara e Buronson hanno omaggiato la cinematografia horror del passato
Beniamino indiscusso di tutti coloro che sono cresciuti tra gli anni ’80 e ’90, Ken il Guerriero (Hokuto no Ken) è stato prima l’indimenticabile combattente protagonista del manga disegnato da Tetsuo Hara e sceneggiato da Yoshiyuki Okamura (aka Buronson) e poi dell’ancor più celebre serie animata in due stagioni che fu proiettata naturalmente anche da alcune emittenti locali italiane.
Ambientato in un futuro post-apocalittico alla Mad Max, il cartone giapponese vedeva il leggendario maestro della Sacra scuola di Hokuto combattere contro una pletora di disumani signori della guerra e i loro eserciti di depravati, che opprimevano i più poveri e gli indifesi sopravvissuti in una società ormai dominata dalla legge del più forte.
L’avventura del guerriero e dei suoi due piccoli amici, Lin e Bart, inizia come spesso capitava con la vittima dell’aggressione di un manipolo di violenti oppressori: un’indifesa fanciulla, Karen, è oggetto infatti delle spiacevoli attenzioni di un membro – dal parrucco decisamente punk – di uno degli squadroni che battono il suo desolato villaggio.
Subito l’Uomo dalle Sette Stelle si schiera dalla parte della donna e in poche mosse annienta i suoi assalitori, meritandosi un invito a casa di lei insieme ai suoi compagni di viaggio. Giunti nell’abitazione, dopo aver consumato un frugale pasto, vanno tutti a dormire. Tuttavia, nel mezzo della notte, all’improvviso la casa viene assalita da una nutrita schiera dall’inquietante aspetto e al contempo Karen, come posseduta, rapisce Lin e la conduce alla locale cattedrale.
Allo contempo, proprio nell’utilizzo della magia nera si avvicina allo stregone al centro di un’altra pellicola: Il serpente e l’arcobaleno (la recensione) film di Wes Craven del 1988 (quindi successivo al cartone) che a sua volta era però tratto dal libro Passage of Darkness (1984) di Wade Davis, a sua volta ispirato a un singolare caso realmente accaduto, la zombificazione di Clairvius Narcisse.
Questi, vittima di un rito vudù haitiano e creduto morto dopo un eccesso di febbre nel 1962, era ricomparso vivo e vegeto tempo dopo. Interrogato sul fatto, aveva asserito di essere stato costretto per due anni, ossia fino al 1964, a servire uno stregone, un bokor che l’aveva soggiogato con una malia. Lì il prodigio era, parrebbe, dovuto al ricorso di una droga psicotropa, la tetrodotossina, nell’anime invece l’obbedienza cieca è raggiunta semplicemente tramite a una sequenza di parole magiche, enunciate da Zaria stesso.
Non solo, l’episodio riprende altresì una seconda configurazione dei morti viventi, quella più classica introdotta da George Romero, che fa la sua comparsa quando, nella cattedrale, Ken viene immobilizzato in uno stato di trance dal nemico e questi resuscita con una sequenza di gesti stregoneschi due enormi colossi che avanzano verso l’eroe ormai privo di difese.
Anche qui è concessa una licenza creativa assai estrosa e i due esseri sono del tutto acefali, fatto impensabile per ovvie ragioni nei convenzionali mangiacervelli. A completamento della caratterizzazione, su più livelli chiaramente orrorifica, le casette oscure, come la cattedrale illuminata da un lampo notturno, riportano all’immaginario gotico e all’estetica espressionista che sin dal Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau hanno denotato il filone. In ultimo, sempre in una estrosa rielaborazione del vampiresco, Zaria, lanciato su una croce come fosse un vero principe della notte, si rinsecchisce e muore all’istante.
Fantasiosa rielaborazione che ripropone in chiave libera, e piuttosto incongruente a essere sinceri, un insieme di elementi iconografici immediatamente riconoscibili, l’episodio 15 della prima stagione di Ken il Guerriero rappresenta dunque un vero e proprio omaggio alla cinematografia horror del passato, oltre che qualcosa di assolutamente unico e mai ripetuto nel resto della serie.
Di seguito la storica sigla di apertura di Ken il Guerriero: