Un nuovo ciclo di episodi ambizioso e imperfetto, più cupo e dispersivo, ma salvato dal viaggio emotivo di Lucy e dall’interpretazione magnetica del Ghoul
Nella stagione due di Fallout la frase “la guerra non cambia mai” smette di essere solo uno slogan d’apertura e diventa la vera spina dorsale del racconto. Dopo una prima annata che aveva il fascino della scoperta, la serie di Prime Video sceglie di allargare l’orizzonte, di complicare la geografia morale e politica del suo deserto postatomico, e nel farlo si trova divisa tra due pulsioni: da un lato l’ambizione di costruire un mondo corale, dall’altro il rischio di perdere slancio mentre accumula linee narrative e misteri.
Il risultato è un nuovo ciclo di episodi a volte dispersivo, ma quasi sempre ipnotico, in cui la macchina industriale del dopobomba e i destini individuali finiscono per specchiarsi l’uno nell’altro.
Il filo principale è ancora quello di Lucy MacLean (Ella Purnell). All’inizio di Fallout stagione 2 la ragazza che abbiamo conosciuto come ingenua abitante del Vault 33 ha già visto crollare tutte le certezze: sa che il padre Hank MacLean (Kyle MacLachlan) non è il benevolo supervisore che credeva, ma uno degli ingranaggi chiave della catastrofe. È con questa ferita aperta che parte verso New Vegas, città miraggio in mezzo al nulla, affiancata da una guida improbabile: il Ghoul (Walton Goggins), ex attore del passato pre-bellico, ora pistolero immortale, corrosivo e spietato. Il loro viaggio è la parte più riuscita della stagione, perché tiene insieme tre piani: la cronaca del cammino attraverso il deserto infestato da mostri e bande armate, il duello di caratteri fra ottimismo ingenuo e cinismo radicale, e una riflessione sotterranea su che cosa voglia dire restare umani quando il mondo ti ripete, ogni secondo, che essere umano è un lusso.
Lucy continua a credere che esista una sorta di regola d’oro: fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te. Il Ghoul, che ha visto due secoli di crudeltà, è la sua negazione vivente: per lui è solo uccidere o essere uccisi, approfittare prima che lo facciano gli altri. La scrittura gioca su questo contrasto con dialoghi che oscillano tra sarcasmo e vulnerabilità, ma i critici sono d’accordo nel cogliere un cambiamento: se nella prima stagione il loro rapporto aveva la freschezza di un’improbabile coppia di viaggio, qui assume le tinte di un conflitto generazionale, quasi padre e figlia in una lunga adolescenza apocalittica, dove lei prova a scappare dall’ombra del genitore e lui, senza ammetterlo, inizia a farsi contagiare da un briciolo di speranza.
Su un altro fronte, la serie approfondisce il percorso di Maximus all’interno della Confraternita d’Acciaio. Promosso a cavaliere quasi per caso, il ragazzo si ritrova a comandare uomini e a maneggiare reliquie come la Fusione Fredda senza avere gli strumenti morali per farlo. È qui che Fallout avvicina il suo sguardo a quello di altri racconti distopici: non interessa tanto la guerra come spettacolo, quanto il modo in cui un’istituzione rigida, nata per proteggere, si trasforma in culto, in dogma che giustifica qualsiasi abuso.
Maximus, ingranaggio che inizia a capire di essere tale, è forse il personaggio più tragico della stagione, perché incarna la fatica di opporsi a una struttura che ha bisogno di soldati obbedienti, non di coscienze inquiete. Alcuni critici notano come il suo arco, pur ricco di potenziale, venga a tratti sacrificato a favore di altre linee narrative, perdendo un po’ di forza proprio quando potrebbe diventare il cuore politico del racconto.
Il terzo vertice di questo triangolo è Norm, il fratello di Lucy rimasto nei Vault. Intrappolato in una stanza-prigione dentro il Vault 31, in compagnia di un cervello aziendale montato su un robot domestico, scopre che la vita sotterranea non era un rifugio, ma un esperimento: Vault-Tec non voleva salvare l’umanità, voleva selezionare una nuova classe dirigente, allevare responsabili di reparto come se fossero bestiame. Qui la serie tocca uno dei suoi momenti più feroci: la rivelazione che i “fortunati” che sono sfuggiti alle bombe sono in realtà materia prima da sfruttare, corpi da congelare, usare, gettare. La scelta di Norm di non accettare nessuna delle opzioni previste dal sistema – morire subito o dormire per sempre – e di creare caos, di sabotare l’ingranaggio dall’interno, diventa quasi una chiave di lettura dell’intera stagione.
Perché se c’è un tema che accomuna le varie recensioni è proprio questo: la stagione due di Fallout sembra a tratti più interessata a pianificare il proprio futuro che a raccogliere ciò che semina. La costruzione del mondo è impressionante: nuovi clan, nuove città, nuove fazioni, e persino nuove epoche, grazie ai frequenti salti indietro nel tempo. Ma tanta ricchezza ha un prezzo. Molti osservano come i primi episodi siano più lenti e frammentati, costretti a rimbalzare tra deserti, Vault, dirigibili della Confraternita e salotti del passato, con il rischio di interrompere proprio le storie che stavano diventando avvincenti. È la sindrome della seconda stagione “ponte”: quella che deve tenere agganciati gli spettatori, preparare nuovi conflitti, seminare possibili spin-off, mentre prova a non perdere l’anima del racconto originale.
Dal confronto tra le varie voci critiche emerge così un’immagine doppia. Da una parte questa seconda stagione di Fallout come consolidamento di un universo narrativo enorme, fedele allo spirito dei giochi, pieno di riferimenti, luoghi iconici come il Lucky 38, legioni in armatura, citazioni musicali d’epoca che risuonano tra le rovine. Dall’altra, una stagione che a volte si perde nel proprio labirinto, diluisce l’urgenza emotiva della storia di Lucy, del Ghoul, di Maximus e Norm, in favore della promessa di qualcosa che verrà.
Resta, in ogni caso, una serie che non ha paura di sporcarsi le mani con domande scomode: cosa succede quando il mondo è governato da marchi e loghi invece che da ideali? Quanto vale la giustizia in un deserto dove “vince sempre il banco”? Fino a che punto è possibile conservare una briciola di empatia quando ogni scelta ha conseguenze letali? In Lucy e nel Ghoul, così diversi eppure sempre più legati, Fallout suggerisce che una risposta, per quanto fragile, esiste ancora. E finché questo barlume resiste, anche in mezzo alle radiazioni e alle macerie, la serie conserva il suo cuore pulsante, ed è questo cuore a rendere il viaggio, pur imperfetto, ancora una volta difficile da abbandonare.
Di seguito trovate il full trailer doppiato in italiano della seconda stagione di Fallout, su Prime Video dal 17 dicembre fino al febbraio 2026 a cadenza settimanale: