Azione & Avventura

Gen V stagione 2: recensione degli 8 episodi, tra satira e maturità

Lo spin-off di The Boys onora Chance Perdomo e sposta il baricentro su Marie: meno satira universitaria, più indagine emotiva e un nuovo villain

La stagione 2 di Gen V nasce sotto il segno del lutto e della riconfigurazione: l’omaggio a Chance Perdomo non è solo un atto dovuto, è la chiave etica di una stagione che integra l’assenza di Andre dentro il racconto e la trasforma in motore emotivo. La serie derivata di The Boys resta violenta, caustica, satirica, ma sceglie di spostare il baricentro: meno caricatura universitaria, più romanzo di formazione e dolore, con un filo giallo che attraversa ogni episodio.

Il primo nodo è di verosimiglianza narrativa: la rapida “normalizzazione” dopo la prigionia e il ritorno alla Godolkin University mettono a dura prova la sospensione dell’incredulità. La scelta di non indugiare sulle spiegazioni è un compromesso evidente, ma funziona perché la stagione decide di guardare altrove. Al centro torna Marie (Jaz Sinclair), il cui viaggio verso la verità familiare e verso la propria natura è raccontato con calma, scarti e ricadute, fino a rivelare poteri e legami che la collegano in modo diretto ai segreti dell’istituto. La scrittura le affida il cuore del racconto e lei lo ripaga con una prova intensa, capace di attraversare pudore, colpa, rabbia.

Accanto a lei, Emma (Lizze Broadway) smette di essere solo un’idea metaforica e diventa persona: il disturbo alimentare non è più un espediente per farla rimpicciolire, ma un conflitto interiore che scava nelle radici dell’autostima e del consenso social. Jordan (London Thor/Derek Luh) continua a incarnare la fluidità come forza, non come etichetta, mentre Cate (Maddie Phillips) e Sam (Asa Germann) passano da semplici detonatori di caos a figure tragiche che il gruppo prova a riportare a riva. L’assenza di Andre è resa concreta dal dolore di Polarity (Sean Patrick Thomas), che diventa mentore e ferita aperta: il suo ingresso nel corpo docente è insieme indagine, elaborazione del lutto e critica a un’istituzione che trita i propri figli.

Il nuovo preside Cipher (Hamish Linklater) è un antagonista di rara efficacia: elegante, insinuante, devoto alla selezione dei “più adatti”, è il volto pulito dell’eugenetica spettacolare. Il suo interesse per Marie e il progetto segreto legato al fondatore Godolkin riscrivono il senso stesso dell’università come laboratorio di manipolazione: corpi e menti di giovani trasformati in materiali di propaganda, potere e consumo. In questo, la stagione 2 di Gen V affila la sua critica: l’America della Vought non ha più bisogno di convincere, le basta addestrare; le aule diventano palestre di obbedienza, le conferenze stampa copioni, le piattaforme megafoni.

I collegamenti con The Boys si moltiplicano, ma sono meglio integrati: le comparse speciali (da Starlight a Sister Sage) non rubano la scena, ancorano la linea temporale e preparano l’ultimo atto della saga madre. Il rovescio della medaglia è una parziale erosione dell’identità autonoma: quando la trama accelera verso l’unificazione dell’universo narrativo, l’irriverenza accademica che caratterizzava la prima stagione arretra. Meno satira del campus, più corsa agli indizi: spesso gli scontri fisici lasciano spazio a archivi, corridoi, confessioni a bassa voce. È una virata consapevole, che qualcuno potrà rimpiangere, ma che regala una coesione emotiva nuova.

Sul piano delle interpretazioni, il livello è alto e uniformemente in crescita. Jaz Sinclair regge l’asse drammatico; Lizze Broadway dà corpo a una fragilità combattiva; Phillips e Germann trasformano la colpa in domanda morale; Thomas porta una gravità adulta che mancava. Linklater, infine, costruisce un preside-maschera la cui calma glaciale fa più paura di qualsiasi esplosione di sangue. La regia non rinuncia all’eccesso visivo, ma lo dosa: la violenza resta, i colpi di scena anche, però il gusto per l’iperbole non soffoca i personaggi.

I limiti? Alcune scorciatoie di costruzione, la sensazione che la “malattia” introdotta nella prima stagione non abbia ancora prodotto tutte le sue conseguenze, la progressiva convergenza con la saga maggiore che talvolta appiattisce l’angolo satirico più universitario. Ma il guadagno è tangibile: questi 8 episodi trovano nella perdita, nell’identità e nel corpo manipolato il loro lessico, e lo pronunciano con serietà senza perdere il sarcasmo.

Il risultato è una stagione meno sfrontata ma più matura, che tiene insieme intrattenimento e ferita, denuncia e intimità. In un mondo dove l’eroismo è confezionato, Gen V sceglie ancora i suoi ragazzi: imperfetti, contraddittori, capaci di sbagliare e di cambiare. È qui che la serie derivata supera spesso la madre: quando smette di urlare contro il sistema e ascolta come lo si sopravvive. Per chi cercava soltanto sangue e blasfemie, sarà “solo” buona televisione; per chi voleva capire dove va questa saga, è il passo necessario. E per chi amava Andre, è anche un modo onesto di non dimenticarlo.

Di seguito trovate il full trailer doppiato in italiano della stagione 2 di Gen V:

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Published by
Marco Tedesco