Un prodotto ambizioso ma sbilanciato, che svela troppo del mistero di Pennywise e perde la vertigine dell’orrore che faceva grande l’universo di Stephen King
Con IT: Welcome to Derry, Andy Muschietti torna nel mondo che l’ha consacrato, tentando di trasformare l’orrore ciclico di Stephen King in un racconto denso e continuativo. Ambientata nel 1962, la serie HBO in 9 episodi si propone come prequel dei due film di successo diretti dallo stesso Muschietti, ma invece di ampliare la leggenda di Pennywise, finisce spesso per ridurla a spiegazione.
Nel cuore della storia ci sono due linee narrative destinate a intrecciarsi. La prima segue la famiglia Hanlon: Leroy (Jovan Adepo), pilota dell’aeronautica con un trauma di guerra che lo ha reso immune alla paura, viene assegnato a una missione segreta dal generale Shaw (James Remar). Sua moglie Charlotte (Taylour Paige), donna forte e idealista, si scontra con il razzismo e l’ipocrisia di una Derry che maschera la propria violenza dietro sorrisi di provincia. Il figlio Will (Blake Cameron James) trova invece un’improbabile alleanza con Lilly (Clara Stack), una ragazzina segnata dalla perdita, e un gruppo di coetanei che cominciano a percepire la presenza del male sotto la città.
Parallelamente, il sensitivo Dick Hallorann (Chris Chalk), lo stesso che in futuro incontrerà Danny Torrance in Shining, collabora con l’esercito per studiare una misteriosa forza “vivente” che pare provenire da un’altra dimensione. Il risultato è un incubo che fonde trauma sociale e soprannaturale, spostando la paura dal clown al potere stesso che tenta di controllarla.
Nei momenti migliori, Welcome to Derry ritrova la potenza visiva che aveva reso il dittico cinematografico un successo mondiale. Muschietti costruisce sequenze oniriche di grande efficacia: la sala cinematografica che si trasforma in un inferno di luci intermittenti, le strade vuote che si piegano come carne viva, l’eco infantile che accompagna ogni sparizione. In queste scene il regista dimostra di saper ancora manipolare l’immaginario collettivo della paura, rendendolo tangibile e concreto.
Il vero problema della serie non è tecnico, ma concettuale. Welcome to Derry vive nella contraddizione di voler espandere un universo narrativo già chiuso. Il formato del prequel, per definizione, priva la storia di sorpresa: conosciamo già la fine, conosciamo il ritorno ciclico del male. Per colmare questo vuoto, la sceneggiatura infittisce il tessuto mitologico, arrivando a SPOILER teorizzare un assurdo progetto militare per “catturare” Pennywise e utilizzarlo come arma durante la Guerra Fredda FINE SPOILER Un’idea tanto folle da spezzare l’atmosfera di orrore cosmico che King aveva costruito con ambiguità e mistero.
Spiegare l’ignoto significa renderlo innocuo, e la serie lo fa ripetutamente: la paura diventa esperimento, la leggenda diventa protocollo. Derry, da organismo vivo, si riduce a laboratorio narrativo.
Sul piano simbolico, la serie tenta di costruire un ritratto dell’America dei primi anni Sessanta come culla di ogni mostro moderno. Il razzismo sistemico, la repressione delle donne, la paranoia atomica e la violenza istituzionale emergono come riflessi dello stesso male che Pennywise incarna. È un’idea potente ma tradita da un linguaggio troppo esplicito: i personaggi spiegano il senso politico invece di incarnarlo, l’allegoria resta sulla superficie.
Il cast sostiene con professionalità un copione diseguale. Adepo regala a Leroy Hanlon una dignità stoica, la Paige trasforma Charlotte in una donna complessa e credibile, mentre i giovani interpreti, in particolare Clara Stack, donano freschezza e vulnerabilità. Gli effetti visivi sono solidi, ma mai sorprendenti: dominano luci fredde, toni verdastri, atmosfere umide che si ripetono episodio dopo episodio. La fotografia di Paul D. Austerberry è elegante ma trattenuta, e la regia di Muschietti, pur abile nel costruire tensione, fatica a mantenere ritmo e densità emotiva.
IT: Welcome to Derry è insomma una serie che vive del proprio mito più che della propria sostanza. Vuole essere horror, allegoria storica e dramma familiare, ma non riesce a scegliere un cuore emotivo. È elegante, ma dispersiva; suggestiva, ma prevedibile; curata, ma fredda. Funziona a sprazzi, nei momenti in cui la paura si fa intima, nei dettagli che non vengono spiegati. Ma troppo spesso cade nella tentazione di dire tutto, di riempire il mistero con parole.
Alla fine resta l’impressione di un universo che, invece di espandersi, si contrae. Derry continua a vivere, ma non a sognare. E Pennywise, pur tornato, sembra ormai prigioniero della sua stessa leggenda.
Vi agevoliamo un bel po’ di easter egg kinghiani dal primo episodio.
Di seguito trovate il full trailer doppiato in italiano di IT: Welcome to Derry, dal 27 ottobre su SKY e Now:
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