Voto: 7/10 Titolo originale: Murdaugh: Death in the Family , uscita: 15-10-2025. Stagioni: 1.
Murdaugh: morte in famiglia, la recensione della miniserie true crime (su Disney+)
22/10/2025 recensione serie tv Murdaugh: Death in the Family di Gioia Majuna
Jason Clarke e Patricia Arquette sono al centro di un'opera potente e inquieta che smaschera la corruzione del privilegio e il prezzo umano dell’impunità

Murdaugh: Morte in famiglia è la miniserie che riapre una ferita già raccontata da docuserie e podcast, ma lo fa scegliendo un punto di vista più drammaturgico che giornalistico: non cerca chi ha premuto il grilletto, bensì come una dinastia convinta di essere intoccabile sia arrivata al proprio crollo.
L’incipit a Moselle, con Alex Murdaugh che trova i corpi di Maggie e Paul nei pressi dei canili, non è solo un gancio: è l’immagine-sigillo di un sistema di potere che ha consumato se stesso. Il racconto torna al 2019, tra la festa per Randolph, l’anziano patriarca, il figlio minore già fuori controllo, i debiti che montano, gli antidolorifici che anestetizzano coscienza e responsabilità, fino al naufragio in barca che costerà la vita a Mallory e incrinerà per sempre la facciata. In mezzo scorre un matrimonio logorato, un primogenito costretto nel ruolo di erede, una comunità di Hampton soggiogata da carisma e intimidazione, un’ossessione per l’apparenza che diventa metodo educativo: proteggere i Murdaugh, sempre e comunque.
Confrontando i diversi registri che la serie alterna, emerge un doppio movimento. Da un lato la scrittura disegna con cura l’ecosistema familiare: Alex è ritratto come uomo plasmato dal privilegio, convinto che denaro e amicizie nei tribunali bastino a piegare la realtà; Maggie appare intrappolata in un ruolo di moglie complice e ferita, oscillando tra fedeltà al clan e desiderio di fuga; i figli vivono l’eredità come condanna, tra impunità appresa e invincibilità presunta.
Dall’altro, l’andamento a otto episodi dilata ciò che è già noto: il meccanismo dell’ascesa e caduta è scandito con precisione, ma talvolta la struttura insiste su piste collaterali (vacanze di lusso per tacitare lo scandalo, pettegolezzi, piccoli riti di status) che ribadiscono la tesi più che arricchirla. Ne deriva una tensione tra intensità attoriale e ridondanza narrativa: la miniserie è avvincente nel mostrarci come il castello giuridico-finanziario si sgretola, meno incisiva quando ricalca passaggi già metabolizzati dal pubblico di cronaca nera.
Sul piano delle interpretazioni, il cuore del progetto batte forte. Jason Clarke scolpisce un Alex viscido e magnetico, capace di passare dal sorriso accomodante alla furia controllata, di mentire con naturalezza e crederci per primo; nei dettagli – lo sguardo che scivola, la voce che s’indurisce quando l’autorità vacilla – si legge l’uomo che ha scambiato il potere per identità. Patricia Arquette dà a Maggie una gamma che evita la caricatura: devozione, stanchezza, lucidità intermittente davanti a un matrimonio che la consuma.
Il resto del nucleo familiare è tratteggiato con efficacia funzionale: il figlio minore come emblema di irresponsabilità impunita che lentamente trae in sé un barlume di consapevolezza; il primogenito come custode di un cognome che pesa più della verità; il patriarca come totem che benedice l’autoassoluzione. È qui che la miniserie tocca il suo tema più duro: quando la retorica dell’onore di famiglia diventa pedagogo di cinismo, ogni violazione si giustifica e ogni vittima esterna scivola sullo sfondo.
Proprio il trattamento delle vittime extra-familiari è il punto più controverso dell’operazione. La scelta di guardare “da dentro” offre profondità psicologica a chi ha esercitato dominio, ma rischia di ribadire un’asimmetria di sguardo: Mallory e i clienti frodati, la governante caduta nel vuoto morale prima ancora che dalle scale, restano soprattutto detonatori di trama.
È una posizione coerente con l’intento – radiografare il cuore del potere, però impoverisce la risonanza etica: lo spettatore prova indignazione, più raramente empatia. Allo stesso tempo, la messa in scena evita il compiacimento macabro: quando la serie torna al luogo del delitto con piena consapevolezza, sceglie la freddezza clinica, quasi a dirci che il come è ormai più importante del perché, e che il dolore reale non ha bisogno di estetica.
Sul versante della costruzione, l’arco è quello classico della tragedia americana: sangue, denaro, apparati legali, un territorio permeabile alla cooptazione. L’intuizione più riuscita è mostrare la dipendenza non solo come schiavitù farmacologica ma come linguaggio del potere: dipendere dal consenso comprato, dai favori, dal cognome, dalle versioni dei fatti imposte. Ogni scena in cui la famiglia “aggiusta” una verità è una lezione di sociologia applicata alla provincia: l’ordine si mantiene ridefinendo i confini del lecito, non rispettandoli. Quando le cause civili iniziano a scoperchiare i conti, il castello crolla non per un colpo esterno, ma per entropia interna: il sistema non regge più il proprio peso.
Il bilancio, in termini di resa, è duplice e questo doppio registro va messo in conto. Come racconto di personaggi, la miniserie è solida, ben recitata, capace di rendere visibile il filo che lega arroganza, menzogna e violenza domestica; come opera di ricapitolazione di cronaca, è rigorosa ma poco rivelatrice, perché preferisce confermare piuttosto che scoprire. Dove riesce a distinguersi è nell’evitare il sensazionalismo e nel mostrare la genealogia della colpa: ciò che implode nel 2021 non nasce lì, affonda radici negli usi e costumi di un ceto che ha scambiato impunità per diritto naturale. Dove inciampa è nella durata: otto puntate stirano il materiale, rischiando di smussare l’impatto emotivo di alcuni snodi che avrebbero guadagnato asciuttezza.
In conclusione, Murdaugh: Morte in famiglia è una cronaca nera di potere e autoinganno in 7 episodi che vale per interpretazioni e sguardo dall’interno, meno per originalità d’indagine; un viaggio nel ventre molle di una dinastia, efficace quando illumina i meccanismi dell’élite di provincia, discutibile quando rallenta e lascia nell’ombra chi ha pagato il prezzo più alto.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Murdaugh: Morte in Famiglia, su Disney+ dal 15 ottobre:
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