Zoe Saldaña e Nicole Kidman sono le protagoniste di un thriller militare che si rivela più spot patriottico che dramma, tra stereotipi, dialoghi deboli e una visione semplificata della politica
La prima stagione di Operazione Speciale: Lioness si presenta come un nuovo thriller militare di Taylor Sheridan, ma a conti fatti è un racconto di spionaggio che preferisce slogan e muscoli alla complessità, colpa di un’impostazione ideologica semplificata, di una scrittura piena di stereotipi e du interpreti di livello usati come arredo scenico.
Il risultato, più che un dramma teso, ricorda uno spot di reclutamento travestito da serie.
La premessa è potente: un’unità della CIA infiltra soldatesse sotto copertura tra mogli e figlie di obiettivi jihadisti. L’episodio d’esordio apre con un’operativa smascherata per un tatuaggio cristiano e con un attacco con droni ordinato dalla comandante Joe (Zoe Saldaña). Da qui prende forma la linea morale: “noi” forti che “proteggiamo i deboli”, anche a costo di “barare” perché “in guerra conta il fine”.
È una retorica che appiattisce tutto: l’America come custode, il Medio Oriente come fondale giallastro e indistinto, l’avversario come sagoma su cui scaricare fuoco aereo. L’estetica della “guerra al terrore” di ieri torna quasi intatta, tra elicotteri, esplosioni e cori arabi in colonna sonora, senza interrogarsi davvero sul contesto.
Sul piano dei personaggi, Sheridan ripropone l’archetipo della “donna forte” in versione rigida: nomi maschili, mascelle serrate, prestazioni fisiche da primato e pochi sentimenti ammessi. Joe è una leader glaciale che rientra a casa da straniera; Cruz (Laysla De Oliveira), reclutata dopo aver reagito a un compagno violento, è plasmata come prodigio dei marines prima ancora che come individuo. L’idea di emancipazione si riduce alla capacità di reggere addestramento e vodka; perfino una scena di “ispezione” nuda per i tatuaggi tradisce uno sguardo compiaciuto più che critico. È un femminile bellico che mima i codici maschili senza metterli in discussione, e che alla famiglia contrappone il dovere con la consueta morale: “non si può avere tutto”.
Quando Operazione Speciale: Lioness funziona, lo deve alle interpreti. La Saldaña dà a Joe una tristezza di fondo che buca l’armatura; la De Oliveira rende credibile la furia disciplinata di Cruz e le regala lampi di vulnerabilità. Insieme sollevano un materiale spesso schematico. La spesa produttiva è evidente: deserti veri, esplosioni, elicotteri, un comparto tecnico solido. Ma senza tensione morale e narrativa restano soprattutto le superfici.
Il quadro è netto: politica ridotta a bianco e nero, rappresentazione femminile muscolare e stereotipata, scrittura che preferisce la via più breve alla più interessante. Chi cerca un thriller di spionaggio capace di scavare nelle zone grigie resterà deluso; chi desidera un racconto che confermi l’iconografia patriottica e l’eroismo operativo troverà ciò che cerca, accompagnato da volti celebri.
Operazione Speciale: Lioness avrebbe l’occasione di usare il suo assunto per interrogare potere, metodo e prezzo umano delle operazioni coperte; per ora sceglie la strada più rassicurante. Buona da vedere, poco da pensare. Per una serie che ambisce a parlare di lealtà e sacrificio, è un sacrificio (di complessità) che pesa. In termini di attrattiva, la consiglierei solo a chi segue Taylor Sheridan e ama l’iconografia militare; tutti gli altri possono passare oltre in attesa di un racconto che, oltre a colpire, sappia anche ferire nel profondo.
Di seguito trovate il teaser trailer internazionale di Operazione Speciale: Lioness, su Prime Video dal 24 settembre: