Natalie Dormer è la protagonista di un adattamento per la TV nel complesso riuscito, ma decisamente meno suggestivo del romanzo mistery di Joan Lindsay
Best seller della scrittrice australiana Joan Lindsay pubblicato nel 1967, Picnic ad Hanging Rock (Picnic at Hanging Rock) ha da subito suscitato una grande curiosità. Forse, difatti, l’atmosfera sospesa, o il segreto dietro alla sparizione di tre giovani donne e della loro insegnante durante una gita presso l’imponente e antico gruppo roccioso del titolo hanno incuriosito molti lettori, regalandogli immediata fama.
Certo, ad aumentare il mistero fu la scelta dell’autrice stessa di non inserire il diciottesimo e ultimo capitolo nella prima edizione del libro, eliminandone così il finale e lasciando insoddisfatta la curiosità circa le dinamiche effettive della vicenda. A distanza di poco meno di una decade dall’uscita del libro, il visionario Peter Weir girò quindi il film omonimo (la nostra recensione), profondamente surreale e altrettanto sibillino, che divenne ben presto una delle pietre miliari del cinema australiano degli anni ’70.
Adattato da Alice Addison e Beatrix Christian, lo show inizialmente messo in onda su Showcase di Foxtel e Amazon Prime e trasmesso in Italia su Sky Atlantic HD a partire dal 16 maggio 2018, è assai meno allusivo e più narrativo rispetto alla pellicola di Peter Weir e perfino all’originale cartaceo. Ambiguo e controverso coming-of-age con un tocco di thriller, i 6 episodi prodotti si concentrano assai più rispetto alla prima resa cinematografica sulla questione femminile nella rigida società vittoriana a cavallo dei due secoli, conferendo al materiale libresco una lettura più moderna, più vicina alla sensibilità vigente nel XXI secolo.
Che ciò sia un bene o un male è soggettivo, ma forse le pagine della scrittrice sono in parte private nella nuova sceneggiatura di quel senso sibillino e panico. Indubbiamente sin da principio il mistero era legato alla medesima problematica, declinata in particolare all’attrito tra natura primitiva e costrittiva civiltà britannica, ma tale antitesi era affrontava attraverso un iter simbolico più che descrittivo, evocando più che dichiarando. Il film del 1975 faceva lo stesso, anzi, se possibile era ancora più impalpabile.
Non solo, si dilegua nel nulla anche la loro insegnante di matematica e geografia, Miss Greta McCraw (Anna McGahan), che ha raggiunto le liceali poco dopo che queste si erano separate dal gruppo. Infine la sgraziata e petulante Edith Horton (Ruby Rees), che si era unita alle altre nella breve esplorazione, fa ritorno correndo e urlando terrorizzata.
Trascorrono settimane e le ricerche procedono, ma delle disperse non vi sono tracce, almeno finché a distanza di qualche altro giorno, il giovane rampollo Michael Fitzhubert (Harrison Gilbertson), ossessionato dalle collegiali fin da quando le scorse la prima volta il fatidico giorno in cui svanirono, torna ad Hanging Rock e, grazie all’intervento del suo servitore, trova svenuta, ma pressoché sana, Irma. Il caso così s’infittisce, seguono molti fatti strani e sinistri e molti sono i possibili sospetti, ma la soluzione è assai meno razionale di quanto si potrebbe pensare.
Non che non vi siano anche quivi alcuni passaggi onirici, peraltro probabilmente i più riusciti di tutto l’insieme, ma nel complesso viene raccontata una storia, con un messaggio ben chiaro, mentre il mistero è lasciato al mero quesito di quale sia stato il destino delle ragazze e della loro insegnante.
Una domanda che non troverà naturalmente risposta (per quello è necessario leggere il diciottesimo capitolo del libro pubblicato postumo e intitolato The Secret of Hanging Rock).
D’altra parte non è comunque così importante la soluzione dell’enigma, che si limita ad essere ingrediente per creare un po’ di suspense, ma il fulcro del discorso è meramente sociologico. L’unica domanda sta se nell’adattamento televisivo non sia stato detto e chiarito un po’ troppo, perdendo di vista la raffinata natura sibillina della storia originaria. Traducendo un discorso fortemente allegorico, benché il contenuto alla base non cambi, si rischia infatti di perdere per strada buona parte del fascino alla base.
Sono strazianti le reiterate crudeltà fisiche e psicologiche tese a sottomettere i loro spiriti, le frustate sulle dita, le frasi crudeli pronunciate dall’impassibile istitutrice Mrs. Hester Appleyard (Natalie Dormer), fino ai dettagli più banali come l’obbligo di indossare senza batter ciglio un soffocante corsetto (lodevoli i costumi peraltro, opera di Edie Kurzer).
La tanto auspicata libertà non concessa alla donna vittoriana si concretizza visivamente nelle selvagge lande dell’Australia e nell’antica Hanging Rock, che attira a sé le giovani quasi chiamandole al suo interno. La loro danza tra le rocce, i sibili, gli aloni di polveri dorate, le nuvole rosse o sospese … tutto rimanda a una dimensione magica dietro alla realtà, in cui poter fuggire e sublimare. Tuttavia, la sospensione che alcune frasi appena abbozzate nella pellicola di Peter Weir – ad esempio quando Miranda dice alla giovane amica Sara che non ci sarà più, quasi conoscesse già il suo destino- non hanno qui il medesimo impatto, quando molti dei retroscena sono approfonditi nei particolari, tra cui il voto tra le ragazze a cui si rimanda più volte. Si capirà quindi forse di più dello svolgimento, ma si immagina assai di meno.
Così ne vengono delineati il fosco passato, il carattere ambiguo e le fragilità dietro allo sguardo impassibile. E’ una donna venuta dal nulla che cerca di ritagliarsi un ruolo rispettabile in un’iniqua società di cui conosce tutte le regole.
La sua invadente presenza – evidentemente, Natalie Dormer è stata scelta come volto ‘pubblicitario’ per vendere la miniserie in giro per il mondo anche ai fan di Il Trono di Spade – smorza però ancor di più i toni surreali e misterici che costituiscono la componente più attraente della storia, acuendone la propensione alla detective story, ma depotenziandone il lato filosofico, esistenzialista.
Infine la 36enne attrice britannica, che incarna il controverso e complesso personaggio, è fin troppo ingessata e la sua mimica fin troppo carica, dando vita a un ritratto un po’ posticcio, quasi la maschera dell’istitutrice prototipica già vista numerose altre volte.
Comunque sia, tra vizi e virtù, vale senz’altro la pena di dedicare 6 ore a Picnic ad Hanging Rock, che non sarà esaltante come l’indimenticabile film di Peter Weir o misterioso come il romanzo di Joan Lindsay, ma può contare su solidi valori produttivi, una trama sufficientemente articolata, la curatissima fotografia di alcune sequenze e un’approfondita descrizione psicologica delle sue giovani protagoniste.
Di seguito trovate il trailer ufficiale dello show: