Titolo originale: ??? ?? , uscita: 17-09-2021. Stagioni: 3.
Squid Game 3: il finale spiegato, l’ultima morte e l’inizio di qualcosa di peggiore
28/06/2025 news di Gioia Majuna
Un epilogo spiazzante e profondamente politico

“Non siamo cavalli. Siamo esseri umani. E gli esseri umani sono …” È su questa frase monca, lanciata da Gi-hun nel vuoto della sua morte e in quello dello spettatore, che Squid Game 3 termina la sua corsa (la recensione). Un finale che non chiude, ma rilancia. La serie Netflix coreana, dopo una prima stagione autoconclusiva e una seconda centrata sul ritorno del protagonista per smantellare il Gioco, si conclude con un’esplosione di simbolismo, disperazione, disillusione e—contro ogni previsione—una scintilla di speranza. Ma questa speranza è pura, o è solo un nuovo packaging per la stessa merce tossica che la serie ha sempre criticato?
Il sacrificio di Gi-hun è il culmine di una costruzione narrativa implacabile, un arco tragico che lo porta da giocatore disperato a cavallo da scommessa umana, fino alla figura cristologica che sceglie la morte per salvare una neonata, simbolo letterale di innocenza. L’ironia è atroce: il Gioco si è evoluto, ha mutato pelle, ma conserva la medesima dinamica capitalistica e predatoria. La struttura a torri, introdotta nell’ultima sfida, è una metafora sfacciata della scalata sociale, con i concorrenti costretti a uccidersi per salire—letteralmente. Il Gioco, insomma, è diventato verticale, come il potere economico che rappresenta. Eppure, in questo scenario infernale, Gi-hun si rifiuta di diventare boia della nuova generazione: “Siamo esseri umani”, dice, e si lancia nel vuoto.
La frase incompiuta è la nuova maschera di Hwang Dong-hyuk: “Gli esseri umani sono …” non è solo il titolo dell’episodio, ma il passaggio di testimone allo spettatore. “Cosa sono gli esseri umani?”, ci chiede, dopo aver mostrato la loro capacità di tradire, distruggere, uccidere, ma anche di proteggere, sperare e morire per un altro. Questo interrogativo morale non viene mai chiuso, perché in un mondo modellato dal capitalismo terminale di Squid Game, l’unica certezza è che il sistema vince sempre, anche quando perde un suo pezzo. Gi-hun ha vinto moralmente, ma il Gioco continua: la prova è nell’epilogo hollywoodiano.
L’arrivo di Cate Blanchett come nuova reclutatrice a Los Angeles è uno schiaffo diretto alla narrazione dell’ultima redenzione. È la conferma che l’ideologia del Gioco ha già preso un volo intercontinentale. L’attrice, impeccabile in completo, gioca ddakji con un senzatetto proprio mentre il Front Man la osserva dall’auto: l’internazionalizzazione del massacro è cominciata. La Blanchett non è solo un cameo: è la dichiarazione che Squid Game diventerà franchigia globale, come ogni prodotto vincente nel mondo che la serie stessa critica. Hwang ci dice che il Gioco non finisce perché è il capitalismo stesso, e chi lo guarda senza capire—cercando solo intrattenimento—ne è già parte.
La parabola di Gi-hun è speculare a quella del Front Man, In-ho. Questi, che si era venduto come inevitabile esecutore del sistema, subisce un cambiamento profondo proprio davanti al sacrificio di Gi-hun. Restituisce il denaro alla figlia di Gi-hun e affida la neonata vincitrice a Jun-ho, suo fratello, chiudendo un ciclo familiare carico di dolore. Ma non è redenzione: è una diserzione silenziosa, una fuga con una valigia piena di macerie morali. Jun-ho, da parte sua, riceve il bambino e il bottino di 45,6 miliardi di won, come se fosse la nuova chiave di accesso al sistema. Diventerà il nuovo burattinaio? Sarà lui la nuova faccia compassionevole dell’orrore?
I flashforward disseminati nella puntata—dal ritorno di No-eul al parco giochi, alla ricomparsa del fratello di Sae-byeok con la madre finalmente riunita—sono atti di chiusura poetica, ma non sono finali. Sono punti sospesi che aprono nuovi archi: No-eul in partenza per la Cina alla ricerca della figlia (probabilmente morta), la figlia di Gi-hun a Los Angeles che riceve il suo costume insanguinato e una carta di credito. Il Gioco è ovunque, anche nei bambini guariti, nei pacchi recapitati, nelle fughe apparentemente liberatorie. Nessuno è fuori.
Persino il simbolismo equino, costruito fin dalla prima stagione, trova qui la sua conclusione perfetta e terribile: “Tu scommettevi sui cavalli. Noi scommettiamo sugli uomini”, diceva il Front Man a Gi-hun. E ora, Gi-hun ribalta l’assunto, morendo per dimostrare che l’uomo non è un animale da competizione, ma un essere capace di dono. Peccato che, mentre lui cade nel vuoto, gli altri continuino a scommettere. Forse anche noi.
Se Squid Game 1 era lo schiaffo inaspettato, e Squid Game 2 l’illusione della ribellione, Squid Game 3 è la resa consapevole. Non del protagonista, ma del mondo. Il gioco non si può fermare, dice il finale. Ma qualcuno può decidere di non giocarlo più. Gi-hun ha scelto di uscire dalla pista da corsa. La domanda è: noi siamo ancora a bordo?
Di seguito trovate il full trailer doppiato in italiano della stagione 3 di Squid Game:
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