Un intenso epilogo dedicato a Morte, una riflessione toccante sul senso della vita e sul valore del quotidiano
L’episodio speciale Death: The High Cost of Living / L’Alto Costo della Vita conclude la seconda stagione di The Sandman con un’intensità silenziosa e disarmante, prendendosi il tempo per fermarsi e riflettere. Dopo la maestosità mitologica del ciclo di Morfeo, la serie Netflix trova il suo epilogo ideale nel personaggio più sorprendente e umanamente accessibile dell’universo di Neil Gaiman: Death / Morte, interpretata da una sempre magnetica Kirby Howell-Baptiste. Questo episodio, ispirato all’omonimo fumetto del 1993, non è semplicemente una coda narrativa, ma un concentrato poetico e filosofico sul valore dell’esistenza.
A differenza del ritmo vertiginoso e frammentato della stagione regolare, questo episodio adotta una narrazione lineare, contenuta e profondamente contemplativa. L’incontro tra Death e Sexton Furnival (Colin Morgan), un giornalista depresso sul punto di suicidarsi, si sviluppa in una serie di piccoli momenti, ordinari e straordinari al tempo stesso, che mettono a nudo la bellezza sottile e sfuggente della vita.
È in questa semplicità apparente che l’episodio eccelle. Dove altri finali si chiudono con battaglie epiche o epiloghi ridondanti, The Sandman sceglie di mettere al centro una giornata normale, impreziosita da dialoghi affilati, intuizioni esistenziali e un’ironia dolceamara che accompagna lo spettatore attraverso un viaggio breve ma trasformativo. La scelta di mantenere il tono su un piano quasi quotidiano – tra nightclub, parchi, taxi e appartamenti londinesi – rende più efficace il contrasto con la figura eterna di Death, che vive per un giorno come mortale per ricordare a se stessa (e a noi) quanto sia prezioso anche solo respirare.
La dinamica tra Sexton e Death è costruita su un equilibrio delicato. Sexton non è un protagonista facile da amare: sarcastico, nichilista, chiuso nel proprio dolore. Eppure proprio per questo diventa un perfetto specchio per la compassione di Death, che – pur consapevole del dolore insopportabile che accompagna ogni esistenza – sceglie di amare comunque il mondo, anche nei suoi angoli più bui. Non c’è romanticismo forzato tra i due, ma un’intimità più autentica: quella tra chi ha toccato il fondo e chi sa di essere il punto di arrivo di tutte le vite.
Un punto cruciale è l’interpretazione della morte stessa. La serie, attraverso la Kirby, rifiuta l’immaginario macabro e violento, proponendo una visione inedita: Death è la fine inevitabile, sì, ma anche la custode della bellezza fragile dell’esistenza. È una guida, una presenza che consola, più che condanna. E la sua giornata da umana non è solo una vacanza, ma una missione etica: ricordare a chi guarda quanto sia fondamentale ogni singolo giorno, anche il più ordinario, anche quello apparentemente insignificante.
I comprimari, come Mad Hettie, Theo o Jackie, non sono semplici riempitivi. Ognuno rappresenta una sfumatura diversa della condizione umana: la dimenticanza, la brama di controllo, il desiderio improvviso. Theo, in particolare, introduce una riflessione interessante sul potere, sulla presunzione di poter trattare la morte come una merce. Ma la risposta di Death è chiara: la morte non è negoziabile, e proprio per questo la vita è sacra.
Anche le imperfezioni – qualche passività nel personaggio di Sexton, scelte narrative che semplificano l’ambiguità originale del fumetto – sembrano quasi intenzionali. La decisione di rinunciare alla dimensione più romantica della storia fumettistica accentua infatti l’umanità dei protagonisti e fa emergere il messaggio centrale: vivere è un atto di coraggio quotidiano, non un’illusione sentimentale.
Dal punto di vista visivo, la regia sceglie un’estetica più sommessa e calda rispetto ai toni cupi del reame dei sogni. La Londra di Death è viva, vibrante, quasi tangibile. La fotografia accompagna il senso di transitorietà che pervade l’intero episodio: luci soffuse nei club, riflessi nei vetri bagnati, albe che tagliano l’aria come lame di malinconia.
Come The Sandman ci ha abituati, anche qui la musica e il silenzio sono protagonisti invisibili. Il ritmo è perfettamente cadenzato, lasciando spazio alle parole, agli sguardi, ai piccoli gesti. La scena finale, con Death che svanisce improvvisamente, lasciando Sexton con un sorriso amaro e un barlume di speranza, è un colpo al cuore. Non una conclusione, ma un passaggio di consegne.
E proprio in questo sta il valore eterno dell’episodio: è una meditazione sul vivere, un inno a ciò che resta, anche dopo la fine. Mentre The Sandman chiude (forse temporaneamente) il suo cerchio narrativo, Death: The High Cost of Living lascia una porta aperta. Verso altre storie, altre vite, altre morti. Ma soprattutto verso noi stessi.
Di seguito trovate il teaser trailer doppiato in italiano del Volume 2 della stagione 2 di The Sandman: