Matilda Lutz è tra i protagonisti del ritorno sulle scene del regista di The Nest, un'opera metacinematografica che pesca da Midsommar e Non aprite Quella Porta e riflette sul significato di paura nella società odierna
Netflix non si sbagliava. Se i film potessero avere figli, i genitori di A Classic Horror Story sarebbero Midsommar – Il Villaggio dei Dannati (la recensione) e Non Aprite Quella Porta (il dossier), senza alcun bisogno di un test del DNA per confermarlo. Dal primo prende gli elementi di folk horror e – addirittura – ne ‘reinterpreta’ alcune scene. I momenti gore, tuttavia, sono molto più vicini per violenza ed efferatezza a quelli presenti nel classico di Tobe Hooper.
Tuttavia, anche La Casa di Sam Raimi è stato una fonte di ispirazione piuttosto palese, ma più a livello di scenografia che di trama, dal momento che non troviamo niente di simile a possessioni e deadites aggressivi.
Un’altra delle caratteristiche con cui gioca A Classic Horror Story è ripetere quel che è a sé stesso, e al pubblico sottolineare che questo non è altro che un rimaneggiamento di ciò che ha già visto in molti altri film del genere. Anche se, in effetti e visto il titolo, lo scopo dell’operazione dovrebbe proprio essere questa ‘sfacciataggine’ di intenti. Questo folk horror vuole essere qualcosa di nuovo? La violenza offerta dovrebbe distinguersi da quella di innumerevoli altri titoli? Se la risposta è no, perché girarlo allora? Nientemeno, arriva addirittura ad auto-definirsi ‘brutto’ a volte.
Tuttavia, come diceva il trailer promozionale nelle scorse settimane, bisogna provare a dare un’occhiata più da vicino ad A Classic Horror Story. Perché nonostante ciò che il suo titolo vuole venderci, questo non è affatto il ‘tipico film horror’ come i tanti che troviamo durante tutto l’anno, noioso, prevedibile e volgare. Il nuovo lungometraggio di Roberto De Feo (The Nest) e Paolo Strippoli merita 95 minuti di sosta. La sua componente metacinematografica è quasi altrettanto affascinante e ben usata che in Scream. Inoltre, per rispondere alla domanda di qualche riga fa, la sua’ esistenza’ acquista pieno senso con l’inizio del terzo atto, dopo un colpo di scena in cui la maschera cade e il trucco finisce, perché è proprio quello che è stato, un brutto trucco.
L’epilogo del film è come guardare un mago che rivela i suoi segreti, ed è allora che chi lo ha guardato fin lì pensa a quanto sia stato idiota a non vedere cosa stava davvero accadendo davanti ai suoi occhi.
Sebbene abbiamo effettivamente già visto horror così, la storia prende e colpisce grazie a certe sequenze. Come molti film di questo genere, non è un mistero dire che il futuro di certi protagonisti si intravede sin dall’inizio. In più, alcuni spaventi sono decisamente telefonati. Va però detto che A Classic Horror Story riesce a costruire una certa tensione semplicemente con la sua atmosfera e non tramite i soliti jumpscare acustici (che comunque non mancano), evitando di abusare di un espediente ritrito.
La fotografia di Emanuele Pasquet (già al lavoro in The Nest) è un altro aspetto fondante, riuscendo a illuminare fiocamente anche gli spazi più bui, in modo che lo spettatore possa seguire la storia senza disconnettersi. È esasperante quando l’azione di un film si svolge nella completa oscurità e non consente di seguire cosa sta succedendo ai personaggi. Fortunatamente, A Classic Horror Story trova un equilibrio in tal senso. La cinepresa è posizionata con cura, soprattutto nei momenti di violenza esplicita. Il ‘viaggio’ della mdp attraverso il set è evidentemente stato studiato a lungo, pensando sempre alle sensazioni del pubblico, ed è anche una mdp che sa quando smettere di guardare.
Molti film horror si ‘dimenticano’ dei loro personaggi, sottoponendoli semplicemente a una tortura continua di tensione, spaventi e massacro. A Classic Horror Story offre invece una storia di base per ciascuno dei protagonisti, così che possano passare dall’essere semplici ‘figurine’ a persone, una accortezza che aiuta ad entrare in empatia con loro, sebbene la sceneggiatura (cui han messo mano Roberto De Feo e Paolo Strippoli con Lucio Besana, Milo Tissone e David Bellini) presenti qualche buco nella loro costruzione e ed esplorazione, con alcune fermate della storia che appaiono di conseguenza inorganiche.
Parlando di performance, il gruppo di attori coinvolti in A Classic Horror Story trova bene il tono con cui agire, raggiungendo un certo naturalismo nelle interpretazioni. Sono però Matilda Lutz (Revenge) – che nel ruolo di Elisa porta sulle spalle la maggior parte del peso del film e che nei momenti più catartici dà il meglio di sé – e Francesco Russo (Il Regno) a spiccare.
In A Classic Horror Story, Roberto De Feo e Paolo Strippoli riescono poi a trovare lo spazio per infilare qualche interessante critica e riflessione. Tra le frecciate principali che si vedono in filigrana troviamo un attacco al sistema produttivo italiano e a quanto sia difficile realizzare un film horror in un paese guidato dalle commedie (attendete anche la scena post credits …).
Offre spunti anche per un dibattito sociale chiedendoci in che modo si guarda alla paura oggi. Che bisogno c’è di introdurre il fattore torture porn nei film del terrore? È necessaria tanta violenza, così diretta? Non è che, forse, ci stiamo abituando come società ad atti violenti ed è per questo che chiediamo dosi maggiori di finzione? L’essere umano è morboso per natura? Se la risposta è no, come mai allora di fronte a scene tanto violente ci guardiamo l’un l’altro, anche se solo con la coda dell’occhio?
E ancora, gli horror possono essere dannosi per la società promuovendo immagini violente? Un dibattito portato nei cinema a suo tempo da film come Scream e che oggi A Classic Horror Story prova a risollevare via streaming.
Tra l’altro, come accennato, anche le musiche finiscono per essere un’altra componente importante per il film e classici della canzone popolare nostrana come La Casa di Sergio Endrigo o Il Cielo In Una Stanza di Gino Paoli si adattano perfettamente ai momenti in cui vengono suonate. Nel caso del primo pezzo, le voci dei bambini finiscono per essere davvero terrificanti, stravolgendone completamente il significato.
Insomma, A Classic Horror Story è un’opera girata con perizia che vanta una certa originalità e che cerca di far riflettere e che, nonostante si sia abbeverato ampiamente dalla fonte di Midsommar e Non Aprite Quella Porta, vanta un’oscurità di fondo che gli permette di distinguersi da questi.
Di seguito – sulle note di La Casa di Sergio Endrigo – trovate il full trailer di A Classic Horror Story, nel catalogo di Netflix dal 14 luglio: