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Voto: 8/10 Titolo originale: キュア , uscita: 27-12-1997. Budget: $20,000. Regista: Kiyoshi Kurosawa.

Cure (1997): la recensione dell’horror thriller psicologico di Kiyoshi Kurosawa

02/04/2025 recensione film di Francesco Chello

Raffinato esempio di cinema di genere tuttora validissimo, a quasi trent’anni dalla sua uscita mantiene intatta la sua forza sovversiva e inquietante, un titolo affascinante e destabilizzante capace di ritagliarsi il suo posto nel panorama del cinema moderno e di influenzare svariati autori e opere successive. Uscito nel 1997, arriva finalmente in Italia distribuito da Double Line

cure film 1997

Meglio tardi che mai. Lo diceva Tito Livio. Ma in realtà lo dicono anche gli appassionati di cinema di genere quando finalmente arriva in Italia uno dei quei titoli stranieri colpevolmente rimasti inediti per un tempo indefinito. Uno dei motivi per cui quelli coi miei gusti si sono convertiti da anni al culto dell’import, ma questo è un altro discorso.

Colpevolezza di chi ignora determinate uscite, dicevo, che sull’altro lato della medaglia diventa merito di chi invece decide di scommettere (ed investire) su un film precedentemente trascurato dai discutibili meccanismi della nostra distribuzione.

Nello specifico mi riferisco a Cure, thriller/horror giapponese scritto e diretto da Kiyoshi Kurosawa nel 1997, che dopo la bellezza di quasi trent’anni arriva nel belpaese grazie al coraggio e l’intuizione di Double Line che pone rimedio ad una svista distributiva altrui per portarlo orgogliosamente in sala dal 3 aprile in edizione restaurata 4K.

Martin Scorsese ha definito Cure come uno degli horror più terrificanti, Bong Joon Ho lo ha inserito nella lista dei suoi 10 film preferiti di sempre, Ari Aster sostiene addirittura sia il miglior film mai realizzato. Chiaramente opinioni soggettive che potenzialmente potrebbero anche lasciare il tempo che trovano, ma intanto ve le butto lì giusto per alimentare un po’ di hype.

cure film kurosawaUn’influenza rintracciabile in svariate opere successive, sia giapponesi che occidentali, con registi come David Fincher e Denis Villeneuve che ne hanno ripreso estetica e meccanismo tensivo.

Nel panorama del cinema giapponese degli anni ’90, non molti film hanno avuto l’impatto di Cure che in qualche modo ha ridefinito le coordinate dell’horror nipponico. Alcuni (evidentemente gli stessi che aggiornano Wikipedia), lo identificano come uno dei responsabili della nascita del cosiddetto J-Horror quando si tratta di un prodotto lontano dagli stilemi più espliciti di quel filone che esploderà l’anno dopo con Ringu ed a cui lo stesso Kiyoshi Kurosawa contribuirà col suo Kairo (Pulse) nel 2001.

In Cure non c’è una connotazione marcatamente sovrannaturale, mancano fantasmi rancorosi o maledizioni di sorta, l’inquietudine è prevalentemente psicologica mentre l’atto di violenza è crudo e concreto ed ha una matrice umana e terrena per quanto legata all’occulto.

Il detective Takabe (Kōji Yakusho), tormentato dall’instabilità mentale della moglie, si trova a investigare su una serie di omicidi in cui i colpevoli non ricordano nulla del loro gesto. Il filo conduttore sembra essere un enigmatico vagabondo di nome Mamiya (Masato Hagiwara), individuo dalla memoria labile che, attraverso dialoghi stringati e domande ossessive alla base di un’inspiegabile capacità ipnotica, induce le sue vittime a compiere inconsapevoli atti di violenza inaudita.

Un racconto che si muove sul filo tra thriller ed horror psicologico, che ricorre ad un linguaggio vicino al neo noir, che si insinua nella mente dello spettatore attraverso un’atmosfera magnetica fatta di lenta e inesorabile inquietudine capace di stimolare anche dopo la visione. Costruito su un minimalismo visivo e narrativo che veicola ed accentua il senso di disorientamento. Kurosawa punta sull’emotività, sul fattore psicologico, l’orrore non risiede tanto in immagini esplicite (salvo una manciata di momenti più eloquenti), ma nello sgretolamento della psiche.

L’elemento occulto è più suggerito che mostrato. Il filmmaker dirige con mano sicura, la sua è una regia minimalista e spiazzante. Le inquadrature fisse, il montaggio essenziale e l’uso ammaliante del sonoro amplificano il senso di smarrimento. Il regista gioca con il vuoto, con il fuori campo e con le pause nei dialoghi, alimenta quella sorta di senso dell’attesa concedendo allo spettatore la possibilità di riempire quegli spazi con la propria immaginazione, mentre l’indagine di Takabe assume i contorni di un viaggio sempre più angosciante nel lato oscuro della mente.

Cure trova buona parte del proprio fascino nella capacità di suggerire senza spiegare, Kurosawa è volutamente elusivo sia sul passato di Mamiya che sulla natura del suo potere, un modo per destabilizzare il fruitore sfruttando l’incapacità di comprendere completamente quello che sta accadendo. Per arrivare ad un finale solo apparentemente risolutivo che invece lascia una cattivissima porta aperta.

cure film 1997 kurosawaUna visione che trova la propria forza nell’ambiguità, che non si affida ad una interpretazione univoca ma si muove su più livelli di lettura. In superficie, il thriller poliziesco incentrato sul detective intento a braccare un assassino seriale controverso, una narrazione investigativa sotto la quale Kurosawa pone una riflessione più stratificata nel momento in cui sfrutta il tema dell’ipnosi per mettere in discussione il libero arbitrio, il controllo della mente e la fragilità dell’identità.

Mamiya non è un serial killer convenzionale, non uccide in prima persona ma annienta le barriere morali delle sue vittime trasformandole in strumenti di morte. Il suo potere ipnotico ha il sapore della metafora del condizionamento sociale, della fragilità della psiche e della facilità con cui un individuo può essere privato della volontà. Takabe è un protagonista afflitto, ossessionato dall’indagine al punto di perdere progressivamente il controllo della propria mente.

Il contrasto tra razionalità e caos diventa il carburante della storia, con il detective che si avvicina pericolosamente a quell’oscurità che tenta di decifrare. Molto bravo Kōji Yakusho nel mostrare il graduale logorio psicologico del suo personaggio, mentre Masato Hagiwara interpreta un villain minacciosamente inusuale proprio nel suo essere sfuggente e indecifrabile.

Cure si conferma un raffinato esempio di cinema di genere tuttora validissimo, a quasi trent’anni dalla sua uscita mantiene intatta la sua forza sovversiva ed inquietante, un thriller/horror psicologico affascinante e destabilizzante capace di ritagliarsi il suo posto nel panorama del cinema moderno e di influenzare svariati autori ed opere successive.

In attesa di vederli nei cinema il 3 aprile, di seguito trovate il trailer doppiato in italiano di Cure:

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