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Diario da Venezia 75 | Giorno 3: Lido Gaga in visibilio, mentre la città dei dogi sprofonda

01/09/2018 recensione film di Giovanni Mottola

Miss Germanotta infiamma i più giovani, ma noi preferiamo i classici. La nostra opinione su The ghost of Peter Sellers, The other side of the wind e The great Buster.

A Venezia gira la storiella di alcuni turisti che, all’ora dell’aperitivo, nei pressi di una fermata dei vaporetti, abbiano domandato a un passante: “Scusi, a che ora chiude?”. “Non preoccupatevi: più radi, ma i vaporetti continuano il servizio tutta la notte”. “Non i vaporetti, Venezia! A che ora chiude Venezia?”. Non giureremmo che questo episodio sia accaduto veramente, ma certamente l’esistenza di un turismo sempre più ignorante e propenso a prendere ogni luogo come un divertimentificio lo rende plausibile. Dell’arte del Verosimile, cioè della capacità di raccontare cose inventate ma idonee a descrivere la verità dei fatti ancor più di quelle accadute, fu indubbio maestro Indro Montanelli, che nel 1969 svolse per il Corriere della Sera e per la Rai un’inchiesta sui problemi della città di Venezia, all’epoca individuati nell’inquinamento e nel fenomeno dell’acqua alta, entrambi causa del lento ma progressivo declino della città. Oggi arriva un nuovo grido di dolore da parte di esperti d’arte e dei responsabili dei beni ecclesiastici circa il fenomeno del parziale sgretolamento di numerose chiese veneziane (tra cui quelle splendide di Torcello), a causa dell’umidità e della mancanza di denaro per le manutenzioni. Il problema del turismo selvaggio è invece abbastanza recente, ma piuttosto contagioso. Se ne trovano alcune analogie anche nei fenomeni di suggestione collettiva, come quello che ha colpito alcuni ragazzini e ragazzine spingendoli a trascorrere la scorsa nottata dormendo per terra davanti al tappeto rosso del Palazzo del Cinema in modo da poter essere in prima fila stasera alle 19.00 quando sul medesimo è sfilata Lady Gaga, nota cantante pop ma per l’occasione attrice nel film A star is Born di – e con – Bradley Cooper. Parte degli entusiasmi forse svanirebbe se quei ragazzi sapessero che dietro l’altisonante pseudonimo di Lady Gaga si cela la Signorina Stefani Joanne Angelina Germanotta. Comunque, alla Mostra c’è spazio per soddisfare chi cerca il pop, ma anche per i cinefili, che nelle ultime ventiquattr’ore hanno potuto assistere a tre chicche una più bella dell’altra, aventi per protagonisti Peter Sellers, Orson Welles e Buster Keaton: The ghost of Peter Sellers; The other side of the wind; The great Buster.

The ghost of Peter Sellers è un documentario girato nel 2018 da Peter Medak che racconta la travagliata lavorazione di un film del 1985 del medesimo regista, “Ghost in the noonday sun”, avente nel cast, oltre a Sellers, Spike Milligan e Antony Franciosa. Il film doveva raccontare una storia strampalata di pirati, cacce al tesoro, cuochi che s’improvvisano capitani della nave e via discorrendo tra varie trovate surreali. Però si arenò subito, per incapacità dei produttori, per inesperienza di Medak nel girare le scene in mare, ma soprattutto per la totale follia di Peter Sellers, definito meritevole di un vero e proprio trattamento psichiatrico. Basti un esempio: qualche anno prima aveva cominciato a soffrire di patologie cardiache che l’avevano portato a un passo dalla morte; durante la lavorazione del film arrivò a fingere un infarto per poter abbandonare il set, grazie anche all’aiuto di un amico medico che ne sostenne la menzogna. Franciosa non lo sopportava e arrivò quasi ad ammazzarlo. Un documentario assai divertente per alcune delle stramberie raccontate, ma dal quale si percepisce la sofferenza di Medak nel ripercorrere quei momenti che gli costarono una carriera che sembrava avviata in modo molto promettente. Egli infatti fu costretto ad assumersi tutte le responsabilità del fallimento della lavorazione, quando invece si scopre dal documentario che non ne aveva alcuna.

The other side of the wind (L’altra faccia del vento) è l’ultimo film girato, ma solo in minima parte montato, da Orson Welles tra il 1970 e il 1976. Realizzò oltre 100 ore di girato e lasciò molte indicazioni di regia, ma fu costretto ad abbandonarlo per ragioni economiche e politiche. Disse al suo amico Peter Bogdanovich che gli sarebbe piaciuto se eventualmente l’avesse finito lui. Con l’aiuto del montatore Bob Murawski e del produttore Frank Marshall, e grazie al finanziamento di Netflix, Bogdanovich ha ora portato a termine l’opera secondo le indicazioni del maestro. Nel vederlo ci si accorge di come Welles sia stata la miglior incarnazione vivente della famosa frase di Picasso “A dodici anni dipingevo come Raffaello, ma ho impiegato tutta la vita a imparare a disegnare come un bambino”. Nel 1941, a 25 anni, Orson Welles realizzò il suo primo film, già così perfetto da entrare tra i migliori della storia del cinema. Dopo si mise a fare esperimenti spesso capricciosi, che non riuscì quasi mai a portare a termine. Non si può dire che il cerchio qui si chiuda, perché la linearità è un concetto troppo ordinario per un genio come lui. Ma in The other side of the wind si ritrovano parecchi elementi di Quarto Potere: l’indagine su un personaggio, la personalità strabordante del medesimo, le inquadrature inaspettate, lo stile rivoluzionario. Il protagonista, incarnato da John Houston, è un regista alle prese con un ultimo film, da realizzarsi in economia dopo aver realizzato opere grandiose. E’ un ritratto lucido e feroce che Welles fa del mondo del cinema e anche di sé stesso. La figura di Bogdanovich fa da trait d’union tra questo film e il documentario su Keaton da lui girato, The great Buster: a celebration.

Anche qui compare Orson Welles, a dire che considera il suo Come vinsi la guerra, realizzato nel 1926, uno dei migliori film di sempre. Negli anni Venti Keaton era all’apice della carriera, grazie a straordinarie doti acrobatiche – girò scene pericolosissime senza controfigura, rischiando spesso la morte – e a un talento comico che lo rendeva capace di suscitare sia la risata di testa che quella di pancia. La crisi del muto, i problemi con l’alcool, un contratto sbagliato con la MGM e una vita privata difficile con due matrimoni finiti male lo mandarono in crisi. Poi si risollevò in parte, grazie anche a cammei come quelli in Viale del tramonto di Billy Wilder e Luci della ribalta dell’amico Charlie Chaplin, rispetto al quale non era inferiore in nulla, pur essendo oggi meno ricordato. Ormai anziano venne persino in Italia, prima ad esibirsi a Milano nel 1953 nella rivista “Il piccolo naviglio” dove era presente un giovanissimo Gino Bramieri, e poi nel 1965, poco prima di morire, per girare Due marines e un generale con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, dove rimaneva muto per tutto il film, limitandosi a dire soltanto un “Grazie” verso la fine. Sarebbe stata una chiusa di carriera non molto gloriosa, se non fosse intervenuta proprio la Mostra del Cinema di Venezia ad invitarlo in quello stesso anno e, per l’occasione, a tributargli una meritatissima standing ovation con dieci minuti di applausi che lo commossero.

Oggi la stessa sorte tocca a Lady Gaga. La perfetta fotografia di una Venezia che crolla.

Di seguito il trailer italiano di A Star is Born:

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